Novak Đoković canta male, specialmente in videochat con Fiorello, e segue il festival di Sanremo (0-15). Malgrado questo ama il nostro paese e parla un buon italiano (15 pari). In questo tempo di crisi non si è limitato a lanciare slogan, ha anche elargito una donazione a un paio di ospedali (30-15). È nato in Serbia dove democrazia e diritti umani sono arrivati tardi, al termine di un lungo cammino culminato 10 anni fa con l'adesione al Memorandun della Pace. Da allora la bandiera di Belgrado sventola accanto alla Campana. Đoković non è un eroe, è solo molto bravo a giocare a tennis. Non è ancora salito al Colle (30 pari), ma sembra avere adottato anche lui il Memorandum. Sa che il merito del suo successo è assieme suo e del fato. E sa anche che quando vince dall'altra parte della rete non c'è un uomo inferiore, ma solo uno che gioca peggio, come gli atleti che non entrano tra primi 100 del mondo per i quali ha organizzato un sistema di donazioni (40-30). Un grande sportivo può dare lustro al suo paese in molti modi, anche fuori dal campo. Se tiene i piedi ben piantanti in terra, allarga un braccio per aiutare chi ne ha bisogno, colpisce i pregiudizi sui ricchi e incrocia lo sguardo dei più deboli fa un bel colpo. (Gioco, partita, incontro). Orecchie aperte alle 21.30.

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