Volava come una farfalla e pungeva come un’ape. Era uno sbruffone e praticava uno sport violento. Voleva diventare campione del mondo, c'è riuscito. Non voleva andare in guerra, ha perso tutto. Qualche anno dopo è ridiventato campione del mondo. Muhammad Alì era un bullo, sfotteva gli avversari e si vantava dei soldi che guadagnava. Diceva di combattere «per la gente di colore che non può mangiare», era disposto a pagare per le sue idee. La sua generazione moriva in Vietnam, lui non era d'accordo. Il 28 aprile 1967, quando ha dichiarato pubblicamente la sua indisponibilità «ad andare a diecimila miglia da casa per aiutare a bruciare e assassinare un’altra nazione povera», i generali hanno gettato la spugna. Lui però è dovuto scendere dal ring per 4 anni. Più di un decennio prima Elvis Presley aveva sfruttato la leva obbligatoria per rifarsi un’immagine rassicurante in un'America bigotta che lo criticava per gli ancheggiamenti «peccaminosi». Scelte diverse. Non importa come canti o quanti pesi massimi metti al tappeto, c'è un giorno in cui devi decidere da che parte stai. Muhammad Alì lo ha fatto oggi, 53 anni fa. La Campana invita a farlo tutti i giorni alle 21.30. Orecchie aperte.

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