Finora si emigrava principalmente alla ricerca di lavoro. L'hanno fatto i nostri nonni invadendo, non sempre pacificamente, tutta l'America e mezza Australia. Ignorando il fastidio dei locali hanno riempito il mondo di pizzerie tipiche e di cugini che non conosciamo. Qualche anno dopo abbiamo restituito il favore con lo stesso fastidio, accogliendo male migliaia di persone che a casa loro non mangiavano. Il flusso sembrava a senso unico: noi eravamo quelli ricchi che si difendevano. Ora ci si sposta per salvaguardare la propria salute. Gli stranieri scappano dalle nostre società privilegiate. Sono 200.000 i romeni tornati a casa. Più o meno gli stessi numeri descrivono la “fuga” dalla Germania. La Francia ha rimpatriato 150.000 connazionali, l'Italia 60.000. Attività professionali, studi, piadine a Berlino e Wiener Wurst a Palermo, tutto finito. Ognuno a casa sua. Non è quello che sognavamo? E gli “stranieri buoni”? Quelli che chiamavamo turisti? Via pure quelli. Un virus globale ci costringe a un'economia autarchica? Non succederà, ma «stiamo attenti con i nostri sogni, perché corrono il rischio di avverarsi», scriveva Leo Buscaglia che era nato a Los Angeles da genitori italiani. Orecchie aperte alle 21.30.

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