A volte c’è bisogno di giocare. Buio. Occhio di bue. Scacchiera. Due grandi maestri si confrontano seguendo le regole. Un arbitro supervisiona. Tutto normale se non fossero un russo, Vladimir Dobrov, e un ucraino, Valeriy Nevyerov. Le loro comunità nazionali guardano da vicino, in silenzio. Cittadini di paesi che vivono una forte crisi bilaterale seduti fianco a fianco. Bella mossa. Era il 21 settembre del 2017, giornata internazionale della pace, e la Campana faceva il suo lavoro, avvicinava le persone. Una metafora della diplomazia, del tentativo di risolvere i conflitti all'interno di un quadro, o di un quadrato, di norme condivise, con qualcuno che garantisce. Poi certo c'è uno sconfitto, ma “chi impara non perde mai”. Spesso lo sport è stato usato come strumento di dialogo. Le Olimpiadi invernali di Pyongyang nel 2018 hanno segnato un riavvicinamento tra le due Coree, la diplomazia del ping pong negli anni Settanta favorì la distensione tra Washington e Pechino. Siamo tutti concentrati sulla pandemia, ed è normale. Ma mentre il virus attacca, in giro per il mondo le guerre non si sono fermate. Forse c’è ancora bisogno di giocare. Orecchie aperte alle 21.30.

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