ACCADE ALL’ONU
GIORNATA INTERNAZIONALE DEL MULTILATERALISMO E DELLA DIPLOMAZIA PER LA PACE

 

Ci siamo svegliati un giorno e stavamo rischiando la vita. Tutto insieme, tutti insieme. È accaduto ovunque più o meno nello stesso periodo. Eppure avevamo strutturato il pianeta con demarcazioni molto evidenti: confini e Stati sovrani, ognuno con la sua polizia, il suo esercito, le sue regole, i suoi simboli. Stavamo tranquilli. Magari una guerra ogni tanto, quando era proprio inevitabile, quasi sempre per motivi umanitari.

Invece pare che i virus non tengano conto delle frontiere. A ben vedere sembrano apolidi anche l’economia, l’ambiente, la mancanza di cibo, le armi (per vocazione) e internet (per definizione). In pratica se qualcuno starnutisce a Wuhan c’è il rischio che si ammali la ragazza di Ipanema, una sua coetanea a Madrid e i nonni di Bergamo. Nel frattempo chiudono le compagnie aeree.

Più chiaramente di come ha fatto il Covid non lo poteva spiegare nessun politico, economista, artista, diplomatico o banchiere: quando i problemi sono globali sono globali anche le soluzioni. E dire che da anni il 24 aprile le Nazioni Unite celebrano la Giornata internazionale del Multilateralismo e della Diplomazia a favore della Pace. Non che non ci siano stati risultati finora, ma forse la crisi attuale rende ancora più urgente la necessità da parte di ogni Stato di riappropriarsi del valore del dialogo, come ha sottolineato a più riprese il segretario generale António Guterres. Non si tratta solo di «limitarsi ad affrontare insieme le minacce globali», che già non sarebbe male, ma, aggiungono dal Palazzo di Vetro, «di cogliere insieme tutte le opportunità, perché oggi abbiamo la possibilità di costruire economie e società inclusive e realmente sostenibili, forti di una maggiore consapevolezza rispetto anche al recente passato.

Il virus ha aggravato le vulnerabilità e le disuguaglianze sociali

Ad alcuni sembra scontato, ad altri meno, Maria Dolens lo ripete ogni sera, cento volte. Eppure quando le cose si mettono male, non solo per la pandemia, invece di fare squadra ognuno pensa per sé. Da un lato dell’oceano qualcuno urla “America first” e dall’altro si trova sempre chi risponde “anche noi”. Il problema è che già non funziona in condizioni normali, figuriamoci in una crisi come quella che stiamo vivendo.

Con la pandemia siamo precipitati in un baratro sanitario ed economico che non si vedeva da quasi un secolo. L’impatto sarà particolarmente forte negli anni a venire e gli effetti rischiano di vanificare i progressi fatti in ambiti come la povertà, la sicurezza alimentare, l’uguaglianza di genere e lo sviluppo sostenibile.

Il virus ha aggravato le disuguaglianze sociali e solitamente questo è un motivo sufficiente a scatenare la chiusura verso l’ascolto dell’altro. Ma lo stesso Covid ha evidenziato che i sistemi dai quali dipendiamo sono fortemente interdipendenti. Se continuiamo ad avanzare in ordine sparso, e a velocità molto diverse, non solo non saremo in grado di affrontare le conseguenze dell’emergenza sanitaria, ma nemmeno la crisi climatica, l’illegalità nel cyberspazio o i rischi della proliferazione nucleare.

Abbiamo la possibilità di costruire economie e società inclusive e realmente sostenibili

L’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha sottolineato come la pandemia stia scuotendo «le fondamenta delle nostre società ed esponendo le vulnerabilità dei Paesi più fragili». È chiaro che il virus acuisce i conflitti esistenti e genera nuove tensioni geopolitiche e soprattutto ci ricorda che la Pace, la democrazia e la prosperità devono essere costantemente alimentate.

In pratica c’è bisogno di una rete in cui l’Onu con le sue Agenzie, le istituzioni finanziarie internazionali, le organizzazioni regionali e i singoli Paesi collaborino in modo più efficace e con legami sempre più forti. Dobbiamo costruire un sistema inclusivo, che attinga ai contributi fondamentali della società civile, delle imprese, delle fondazioni, della comunità di ricerca, delle autorità locali, delle città e dei governi regionali. Un atteggiamento di questo tipo, sostiene Guterres, «contribuirà a portare a un multilateralismo efficace con i meccanismi di cui ha bisogno per far funzionare la governance globale dove è necessario».

Il virus è una sciagura, ma almeno potrebbe lasciarci la consapevolezza che nessuno si salva da solo. E magari un luogo “neutrale”, come il Colle di Miravalle, potrebbe essere il posto ideale per riallacciare i fili del dialogo tra Paesi che hanno bisogno di chiarire qualche questione bilaterale. Il multilateralismo si conquista gradualmente.

La pandemia genera nuove tensioni geopolitiche e ci ricorda che il dialogo deve essere costantemente alimentato

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