Del ... conflitto russo/ucraino (i puntini intendono permettere ai lettori di scegliere l’aggettivo ritenuto più calzante) che al momento della apparizione del presente editoriale avrà abbondantemente superato i 4 mesi di durata, sono state sin qui prevalentemente analizzate le ripercussioni politiche, economico/finanziarie e di sicurezza, inerenti all’area europea. Quale configurazione geografica possa assumere lo Stato ucraino, sembrando difficilmente ipotizzabile il ritorno ai confini del 2014; quanto efficaci risulteranno le misure sanzionatorie decise dall’Ue nei confronti di Mosca, soprattutto dopo che il settore energia vi è, seppur solo in parte, incluso; le prevedibili conseguenze della annunciata, prossima adesione alla Nato di Paesi storicamente “neutralisti”, quali Svezia e Finlandia. E la lista potrebbe ancora allungarsi.

La focalizzazione di cui sopra è giustificata dalla constatazione che è proprio il “vecchio Continente” (verrebbe da aggiungere, purtroppo, una volta di più) a rendersi negativo protagonista di un tragico evento bellico e, di conseguenza, a risentirne più direttamente le nefaste ricadute. Allargando il campo di osservazione agli altri “major players”, gli Stati Uniti rimangono fedeli al tradizionale ruolo di “partner di maggioranza” dell’Alleanza atlantica. Senza dubitare della sincerità delle loro intenzioni di vedere riaffermata la piena sovranità ucraina sui territori contesi, essi sono al tempo stesso impegnati, si potrebbe dire in parallelo, nel raggiungimento di un secondo obiettivo, dal loro punto di vista altrettanto vitale, vale a dire un indebolimento “strutturale” (inteso come irreversibile) dello storico rivale/nemico russo.

Per quanto concerne la Cina, essa trae consistenti vantaggi dalla cooperazione bilaterale con Mosca, suggellata dall’intesa sottoscritta dai Presidenti XI Jinping e Putin proprio alla vigilia dell’aggressione russa a Kiev. In questa fase il Cremlino si è, per così dire, “auto condannato” a una scomoda posizione di dipendenza del mercato cinese, non più dal complementare e bensì totalmente sostitutivo dei rapporti intrattenuti sino a poche settimane prima con il mondo occidentale, ora congelati dall’embargo. Che, già nel medio periodo, la Federazione Russa rischi di pagare un prezzo molto alto, e non solo in campo economico, a causa di detto eccessivo allineamento su Pechino, è un discorso qui solo accennato e meritevole dì maggiori approfondimenti in altra sede.
Su questo sfondo dì insieme, è fenomeno più recente, collegato anche all’assenza di prospettive di soluzione in tempi “ragionevoli” del conflitto, la circostanza che ambienti di governo, mezzi di comunicazione e opinioni pubbliche internazionali abbiano iniziato a registrare, uscendo da un oblio poco giustificabile, l’esistenza di devastanti ripercussioni a livello globale provocate dalla “guerra europea”.

Queste ultime assumono un profilo di autentica drammaticità nel settore alimentare, dal momento che Ucraina e Federazione Russa in situazione di normalità sono insieme responsabili del 30 per cento dell’esportazione di grano e di mais. Da tali forniture dipendono, in larga percentuale, le necessità dei mercati più poveri, in primis quelli africani, tradizionali acquirenti di derrate provenienti dallo spazio ex-sovietico. Secondo stime attendibili, ammonta attualmente a circa 25 milioni di tonnellate il quantitativo di grano bloccato nei porti ucraini, in particolare a Odessa, Mariupol (o quello che ne resta) e Kherson. Tale, già imponente, volume è destinato a raddoppiare, una volta che i nuovi raccolti saranno stati completati, immagazzinati nei depositi e, passaggio finale, caricati sulle navi merci.

Facendosi interprete di preoccupazioni diffuse fra quei Paesi membri, il senegalese Macky Sall, Presidente in esercizio dell’Unione africana, ha recentemente incontrato a Soci l’omologo Putin, senza riuscire, sul piano operativo, a ottenere poco di più di generiche riassicurazioni. Due terzi dei 700 milioni di persone direttamente esposte a quello che gli ambienti delle Nazioni Unite hanno già la tendenza a qualificare di “genocidio alimentare” vivono in Africa, in particolare in quella sub-sahariana, mentre estendendo la rilevazione ad aree a minor grado di esposizione, il numero di persone a rischio per effetto della carenza di grano e di altri cereali viene stimato addirittura al doppio (1,5 miliardi).

Finché la navigazione non potrà riprendere in condizioni di sicurezza (occorrerà per prima cosa provvedere allo sminamento del Mar Nero e a concordare con la Russia l’individuazione dì “rotte sicure”) pesanti conseguenze in termini di vite umane appaiono inevitabili. Le soluzioni alternative sin qui ipotizzate, in particolare il trasporto su rotaia attraverso la Polonia con destinazione finale il porto lituano di Klaipeda e il ricorso a soluzioni fluviali, non sono in grado, per quanto un domani potenziate, di risolvere il problema, considerate le ben più ridotte quantità di derrate alimentari trasferibili in tali modi dall’Ucraina verso i Paesi consumatori.
Ritornando al conflitto in atto, fermo restando l’imperativo, assolutamente prioritario, di raggiungere con ogni consentita urgenza un cessate-il-fuoco, esistono pochi dubbi sul fatto che aspetti centrali del futuro negoziato come (li cito a caso) il destino del Donbass, lo status dell’Ucraina nei confronti tanto dell’Unione Europea che della Nato o il riesame dei pacchetti sanzionatori nei confronti della Russia, necessiteranno di mesi (e forse dì anni) prima di trovare una soluzione condivisa.
Di tanto tempo gli stati potenziali vittime della carestia dì certo non dispongono, e analogamente l’Occidente non è notoriamente disposto a far fronte alla ripresa di massicci flussi migratori e al rafforzamento dei movimenti politici che perseguono la destabilizzazione, sia interna che internazionale. L’una e l’altro trovano, oltretutto, facile esca nella devastante eredità lasciata nell’ultimo biennio da una pandemia che, aldilà dei milioni di vittime, ha brutalmente accentuato le disuguaglianze inside and among countries (a tale tema la nostra Fondazione ha dedicato recentemente un Seminario, del quale si riferirà nei prossimi numeri della pubblicazione).

Di conseguenza, è fondamentale che la “questione del pane”, nella semplice ma efficace definizione coniata da Papa Francesco, sia collocata su una corsia preferenziale (fast track), in quanto tale sottratta all’alea dei negozianti politico/militari. È auspicabile che le Nazioni Unite, anche grazie alla loro ampia rete dì Agenzie specializzate, siano in grado dì assolvere questo compito in maniera coordinata ed efficace, ritrovando, in seno alla membership mondiale, almeno una parte della credibilità seriamente compromessa dopo il 24 febbraio. Da questo punto dì vista, la Turchia per ragioni geografiche e legali (funzioni dì controllo degli stretti) sarà, inevitabilmente, destinata a ricoprire un ruolo dì spicco sintonico alle ben conosciute ambizioni personali del Presidente Erdogan.

Una azione rapida si impone anche al fine di evitare - affinché al danno non si aggiunga la beffa - che di una iniziativa “pseudo umanitaria” possa farsi artefice proprio la Federazione Russa. A ben vedere il Continente africano, con poco meno della metà (22 su 55) di Stati astenutisi a New York dal condannare l’invasione dell’Ucraina e un numero non molto diverso di clienti affezionati di proprie forniture militari, rappresenta per Mosca un’area geografica decisamente meno ostile di altre. In quanto tale, essa si legittimerebbe al ruolo di potenziale destinataria di un qualche gesto dì “benevolenza”. Se ciò dovesse effettivamente accadere, a fugare qualsiasi forma di dubbio sul valore, assolutamente irrilevante, rivestito per il Cremlino dalla salvaguardia di vite umane, il riferimento d’obbligo è a Bucha e alle altre località ucraine teatro degli orrori delle fosse comuni. 

 

Il Reggente, Marco Marsilli

 

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