Commentando, nell’editoriale di aprile, l’andamento delle prime settimane del conflitto russo-ucraino, avevamo osservato come agli inqualificabili disegni neo-sovietici del leader del Cremlino avrebbe potuto efficacemente opporsi solo un concorso di tre fattori: la prolungata resistenza delle forze armate ucraine, una sempre più invasiva pressione economico/finanziaria internazionale e il manifestarsi, in territorio russo, di movimenti interni di opposizione.

A un mese di distanza, la prima condizione appare pienamente soddisfatta, in quanto il comportamento dei militari (e, in effetti, dell’intera popolazione) in ogni parte del territorio ucraino ha semplicemente dell’eroico. Nemmeno gli indiscriminati bombardamenti contro obiettivi civili, nemmeno le efferate stragi perpetrate dalle truppe russe in spregio a qualsiasi senso di umanità, nemmeno rapporti di forza inesorabilmente sfavorevoli ai difensori, sembrano infatti in grado di minarne il morale e la determinazione a respingere gli invasori. A questo scopo, superando conflitti di coscienza spesso laceranti, l’”Occidente” ha assunto su di sé la responsabilità di equipaggiare le forze armate di Kiev con sistemi d’arma sempre più sofisticati, performanti e “offensivi”. In una moderna rivisitazione dello storico duello, è infatti opinione diffusa che solo una fionda altamente tecnologica, di nuovissima generazione, permetterà a Davide/Zelensky di affrontare, con qualche possibilità di successo, la sfida con Golia/Putin.

In merito alla seconda, va positivamente sottolineata la protratta compattezza di Stati Uniti e Unione Europea nel colpire il “sistema Russia” con sanzioni economico/commerciali/finanziarie sempre più ampie e intrusive, dirette sia ai grandi complessi industriali e bancari che alla sfera privata di oligarchi e altre personalità vicine al potere.

Se, per Washington, la volontà pur non ufficialmente dichiarata di provocare un regime change al Cremlino, associata a una ricaduta sul piano nazionale pressoché inesistente del blocco dei commerci con la Russia, rende tale linea di rigore non troppo disagevole, il caso per l’Europa è ben diverso. Bruxelles, ormai giunta al quinto “pacchetto” di sanzioni, esita infatti ancora nell’includere in tale lista le due principali fonti di “reddito” per la Russia, gas e petrolio (il carbone verrà invece colpito a partire dall’estate). Appare pressoché certo, infatti che, nel caso di loro applicazione, per un un certo numero di Stati membri (Italia e Germania in testa) deriverebbero ripercussioni molto serie, sia a livello dei rispettivi apparati produttivi che per le esigenze “civili” dei propri cittadini. Va poi considerato come una serie di importanti Paesi G20 extra-europei (Cina, India, Sudafrica, Brasile fra gli altri) oltre ad astenersi in sede Onu dalla condanna politica dell’aggressione russa, continuino sulla linea del business as usual, appropriandosi (ed é il caso soprattutto di Pechino) del lucrativo ruolo di partner privilegiato con Mosca.

Passando al terzo e ultimo fattore, occorre riconoscere come, sul piano interno, gli indici di popolarità del presidente Putin continuino a mantenersi elevati, un dato confermato dall’unico ente di rilevazione “indipendente” russo, il “centro Levada”. Quanto precede nonostante fattori non certo positivi collegati alle operazioni militari in corso, quali il sostanziale abbandono dell’originario disegno di sottomettere l’intero stato ucraino e, in parallelo, il consistente numero di caduti (a tale riguardo, è risaputo che non sempre i loro corpi vengono restituiti alle famiglie, per timore di ricadute negative sul morale della popolazione e il possibile verificarsi di pubbliche proteste). Indubbiamente, la sistematica chiusura da parte del Cremlino di giornali e stazioni televisive critiche e la rigida censura mantenuta dai canali di regime su notizie potenzialmente scomode (quali, per l’appunto, gli insuccessi militari e le perdite sul campo) concorrono ad alimentare in modo artificiale tale popolarità, ad ogni modo anche in Russia il motto applicato in chiave nazionalistica su vari scenari geografici right or wrong, my country sembra incontrare un livello di consenso forse non del tutto atteso. 

Al leader russo una sponda indubbiamente gradita viene fornita dal clero ortodosso, con il Patriarca di Mosca Kirill in più occasioni incline a giustificare l’intervento armato nel Paese confinante (e confratello) a suo modo di vedere infestato da non meglio identificati «nemici interni ed esterni». Commentando con noi tali dichiarazioni, padre Francesco Patton, il sacerdote trentino che riveste il prestigioso incarico di Custode di Terra Santa a Gerusalemme, osservava come dal clero ortodosso, per lunga tradizione sottomesso al potere temporale, non possano essere pretesi gesti di coraggiosa autonomia rispetto alla linea ufficiale. Lo stesso vale per oligarchi, politici di opposizione ed esponenti della dissidenza civile.

Come evolverà la situazione e, in particolare, se alla conflittualità armata possa finalmente essere affiancata, in veste di mediazione, una attività diplomatica in grado di essere accettata da entrambe le parti, rimane aspetto tutto da verificare. 

Sul fronte diplomatico sembra necessario il diretto coinvolgimento delle super potenze

A questo ultimo proposito, sembrerebbe necessario, per prestigio e autorevolezza, il diretto coinvolgimento delle super potenze, quali gli Stati Uniti, la Cina e, perché no?, la stessa Unione Europea, dovendosi per contro riconoscere la sostanziale inutilità del “sistema Onu”, condizionato dal veto russo, e l’inevitabile insuccesso dei pur meritori sforzi intrapresi da “pesi medi”, quali Israele o Turchia.

Chiudiamo con l’osservazione che, in Russia, la festività del 9 maggio è la più sentita a livello di popolazione, rappresentando la ricorrenza della fine della seconda guerra mondiale e della sconfitta del nazismo. Si tratta di una celebrazione alla quale, in altri tempi e diverse circostanze, anche il resto dell’Europa avrebbe potuto idealmente unirsi, nella illimitata riconoscenza rivolta agli abitanti dell’allora Urss per avere contribuito in maniera determinante a impedire che il giogo della croce uncinata si estendesse sull’intero nostro Continente. 

Appare verosimile che Mosca, impegnata in una consistente concentrazione delle proprie truppe nella nevralgica area del Donbass, intenda raggiungere entro quella data un risultato sul campo che possa essere presentato alla propria opinione pubblica come un chiaro successo militare e, al contempo, come giustificazione strategica della “operazione speciale” avviata il 24 febbraio.

Essendo la data di cui sopra prossima a quella di pubblicazione del nuovo numero della nostra rivista, avremo modo di verificare praticamente “in diretta” tale eventualità.

 

Il Reggente, Marco Marsilli

 

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