L’attacco su vasta scala sferrato nelle prime ore del 24 febbraio dalle forze armate russe ai danni dell’Ucraina rappresenta non solo un arbitrario e ingiustificato atto di aggressione nei confronti di un Paese confinante, ma anche un’illegale, gravissima violazione dell’ordine internazionale oggi in vigore, che ha nella pacifica convivenza fra i popoli, nella inviolabilità delle frontiere e nell’affidamento dei contenziosi in atto alle istanze multilaterali a ciò preposte i propri fondamentali e irrinunciabili principi.

A fronte di una siffatta evoluzione, che vanifica anni di sforzi profusi in vari consessi (Nazioni Unite, Osce, Consiglio d’Europa) in vista dell’individuazione di possibili soluzioni concordate per questa area di crisi (sulle quali anche il nostro più recente “editoriale” si è soffermato), la risposta della Comunità internazionale deve essere univocamente forte e determinata. Aldilà delle immediate dichiarazioni di condanna, già pronunciate nelle capitali europee così come a New York, Bruxelles e Strasburgo, appare imperativa la costituzione attorno alla Federazione Russa di una sorta di “cordone sanitario”, con gli obiettivi di isolarne politicamente la leadership e di rendere impossibile per il presidente Putin e per la “nomenklatura” che lo sostiene “dialogare” con il resto del mondo, traendone sostanziosi profitti in campo industriale, finanziario e commerciale.  O - almeno - con quei Paesi che si riconoscono nei valori di democrazia, rispetto della legalità e tutela dei diritti umani incardinati nella Carta delle Nazioni Unite.

Tali misure dovranno essere applicate per il tempo in cui si protrarrà (e nessuno al momento è in grado di prevederne la durata) l’aggressione militare decisa da Mosca, confidando che il dittatore del Cremlino possa essere indotto a porre fine ai combattimenti da un “mix” di pressioni esterne e, auspicabilmente, anche dal diffondersi di una opposizione nazionale, della quale (e il coraggioso esempio di Navalny lo insegna) in quello sterminato Paese-continente si sono già appalesate forme non trascurabili di esistenza.

Una volta ottenuto il silenzio delle armi, non possono esistere dubbi sul fatto che solo in una successiva fase di negoziati - dei quali si può già oggi anticipare la straordinaria complessità - risiede la speranza, non solo per il continente europeo ma anche per la intera comunità di Stati, di ricostruire un accettabile ordine internazionale, lasciando alle spalle le ripercussioni della più grave crisi mondiale dalla seconda guerra mondiale al giorno di oggi.

A chiusura di questo commento, desideriamo come Fondazione Campana dei Caduti indirizzare la nostra più sentita e partecipe solidarietà al governo di Kiev e al popolo ucraino, del quale ospitiamo in Italia una vasta rappresentanza, apprezzandone l’elevata professionalità e l’umana simpatia.

In parallelo, un pensiero va rivolto anche al popolo russo, che tanto ha dato al mondo in termini di arte, cultura e scienza, e che non merita di essere rappresentato da una classe politica inqualificabile, della quale emerge chiaramente come strumentale e più diretta vittima.

 

Il Reggente, Marco Marsilli

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