ACCADE ALL'ONU
LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA FELICITÀ

 

«Tutti gli uomini sono stati creati uguali e sono stati dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili, tra i quali la vita, la libertà e il perseguimento della felicità. Per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati». Se non fosse un passaggio della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, adottata il 4 luglio del 1776, sembrerebbe di leggere un libro di fantascienza. Ma gli Usa non sono il solo Paese a prevedere una cosa del genere. Anche la Costituzione del Bhutan, del 2008, fissa il perseguimento della felicità come obiettivo fondamentale dello Stato, oltre alla promozione della Pace, della prosperità e dell’unità nazionale. Lo stesso fa la la Carta fondamentale delle isole Samoa, del 1960, mentre gli Emirati Arabi Uniti vanno oltre perché lì lo Stato deve «garantire la felicità» e «il benessere dei cittadini».

A questo punto bisogna mettersi d’accordo su cosa significa “essere felici”. Ed è un terreno scivoloso, perché il concetto è difficile da definire in modo oggettivo e può essere interpretato in modi diversi a seconda del contesto culturale e politico in cui ci si trova. Per questo celebrare la «Giornata internazionale della felicità», il 20 marzo di ogni anno a partire dal 2013, è più complicato di quanto sembri. La data è stata stabilita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite attraverso una risoluzione presentata dal Bhutan, che ha messo in pratica il dettato costituzionale riconoscendo il valore della felicità nazionale come superiore a quello del reddito procapite. Quando il telegiornale del piccolo regno himalayano dell’Asia fornisce ai poco meno di 800.000 cittadini i dati economici non parla  solo di Prodotto interno lordo, il Pil che non fa dormire gli economisti occidentali, ma anche di Felicità nazionale lorda (Fnl), un parametro sconosciuto al mercato.

Vista da questa prospettiva la Giornata internazionale comincia a prendere corpo perché prevede non solo uno stato di benessere psicofisico del singolo, ma anche una aspirazione politica a perseguirlo. La questione centrale è di cosa abbiamo bisogno per essere felici. Sicuramente la sicurezza economica, ma questa pare solo un prerequisito, non l’obiettivo finale.

Uno dei primi studi scientifici sull’argomento è stato condotto nel 1978 da due psicologi, Brickman e Campbell, che hanno esaminato l’adattamento psicologico delle persone che avevano vinto la lotteria rispetto a quelle che avevano subìto un grave infortunio. I risultati hanno dimostrato che i due gruppi, a pochi mesi dall’evento, avevano livelli di soddisfazione molto simili.

Nel 2010, invece, uno psicologo della Harvard University, Daniel Gilbert, ha scoperto che le persone tendono a sovrastimare quanto una situazione positiva, come vincere qualcosa o ottenere un lavoro prestigioso, influisca sulla loro felicità a lungo termine. Pare che le vincite al superenalotto influenzino il nostro benessere meno delle piccole attività quotidiane, come passare del tempo con gli amici o frequentare i familiari. Uno studio più recente, condotto nel 2020 da un gruppo di scienziati della Stanford University, ha esaminato la relazione tra felicità e salute. Gli esperti hanno scoperto che chi è felice tende ad avere una migliore salute fisica e mentale rispetto a chi non lo è. I dati sono chiari: pressione sanguigna più bassa, migliore funzione cardiaca e maggiore attività cerebrale.

Insomma, va a finire che passiamo tutta la vita a ricercare la felicità dove non c’è e trascuriamo di agguantarla al volo quando ci passa sotto il naso. Se non ci fossero dei dati scientifici sembrerebbe la morale di un brutto film di Natale, dove tutti litigano per un’ora e mezza a casa di una nonna e alla fine scoprono che in realtà sono “le piccole cose” quelle che contano. Non è esattamente così: “le piccole cose” contano solo se hai già una casa, da mangiare, l’acqua corrente, magari anche calda, una scuola non troppo lontana e una prospettiva di vita accettabile. Ma una volta ottenuto tutto questo bisogna stare molto attenti a desiderare di più, perché c’è il rischio che il sogno si avveri mettendo a nudo la nostra assoluta incapacità di essere felici.

Secondo l’Onu bisogna lavorare in due direzioni: nei Paesi più poveri perché tutti abbiano il necessario, in quelli ricchi perché si eviti di perseguire il superfluo come unico scopo di vita. Insomma per andare a cena con gli amici si può anche prendere l’autobus, e comunque non serve un elicottero.

Qualche Paese che ha scolpito nella Costituzione il diritto a perseguire la felicità ci sta lavorando sopra, qualche altro no.

Shopping al mercato del fine settimana di Paro, nel Bhutan

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