LA PRESIDENZA ITALIANA AL CONSIGLIO D'EUROPA

 

Con il discorso di apertura del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il 17 novembre, l’Italia assume formalmente la Presidenza di turno semestrale del Consiglio d’Europa (CoE), l’organizzazione multilaterale con sede a Strasburgo la cui ragion d’essere consiste nella tutela e nella affermazione, all’interno dell’ambito territoriale di propria competenza, dei diritti dell’Uomo, dello stato di diritto e dei principi di democrazia. Un’attività di grande spessore e pressoché inesauribile sul piano dell’impegno richiesto, di cui formano evidente testimonianza le circa 200 Convenzioni sottoscritte dalla sua fondazione (1949) a oggi.

Si tratta di un evento al tempo stesso raro e importante. Raro perché la presenza di 47 Paesi membri (rappresentando 840 milioni di abitanti) comporta che, in base al principio di rotazione alfabetica, a uno Stato spetti tale ambito incarico solo ogni 23/24 anni. Prima d’ora l’Italia aveva occupato la Presidenza agli albori del nuovo millennio, nel 2000, mentre affido volentieri ai lettori il compito di verificare quando questo accadrà nuovamente.

Importante perché nei 6 mesi di mandato presidenziale è possibile orientare verso determinati temi, quelli che figurano nel programma presentato dalla specifica Capitale, le attenzioni degli altri Paesi, orientando in tal senso gli ordini del giorno del Comitato dei Ministri, la più alta istanza in ambito CoE.

È ipotizzabile, in tale contesto, che da parte della nuova Presidenza, interessata a non trascurare nessuno dei tradizionali filoni di lavoro, vengano in parallelo perseguiti temi politici, culturali e sociali (possibile aggiornamento della Carta di Torino del 1961), oltre all’individuazione di meccanismi di rafforzamento della esecuzione delle sentenze della Corte.

Ciò premesso, non è obiettivo del presente articolo approfondire le priorità del governo italiano, oltretutto non ancora compiutamente conosciute al momento in cui scrivo. Successivi numeri della «Voce» riporteranno infatti le analisi degli addetti ai lavori, sicuramente in possesso di più concreti elementi di informazione. Quella che è sin d’ora certa è la forte aspettativa degli ambienti di Strasburgo nei confronti di una nuova Presidenza ritenuta in grado di “lasciare il segno”, in coerenza e continuità con il ruolo, molto autorevole e qualificato, ricoperto dal nostro Paese nel foro paneuropeo, di cui è membro fondatore accanto ad altri nove Paesi. La circostanza, poi, che il “cambio di testimone” avvenga con un Paese come l’Ungheria pesantemente condizionato, in relazione al suo operato a Strasburgo, dalle note normative antidemocratiche imposte sul piano interno da quelle autorità, non fa che accrescere la convinzione che il Semestre italiano contribuirà a ridare forza e vigore all’Organizzazione di Strasburgo, sulla cui recente attività ha, inevitabilmente, inciso in senso di ridotta operatività il lungo periodo di lockdown.

Più in generale (e lungi dall’essere una critica, si tratta solo di una constatazione) il Consiglio d’Europa deve spesso convivere con un’immagine esterna meno “performante” di quanto in realtà non meriterebbe, non risultando estranea a tale giudizio la ben maggiore visibilità (per non parlare delle enormemente superiori dotazioni finanziarie) di cui l’Unione Europea dispone. Sarà, forse, un dettaglio di secondaria rilevanza, ma la condivisione di logo (le 12 stelle d’oro in campo azzurro) e inno (l’Inno alla Gioia di Beethoven) paiono contribuire all’ingiustificato “appiattimento” di Strasburgo nei confronti di Bruxelles.

In realtà, ad una osservazione pure superficiale delle variegate sensibilità che oggi la caratterizzano, fatte anche di esacerbati nazionalismi e di collegate discriminazioni, non vi possono esistere dubbi sul fatto che l‘ area paneuropea abbia, oggi come in passato, bisogno della insostituibile presenza e della fondamentale attività della organizzazione di Strasburgo che l‘ Italia si appresta a presiedere, con le forti aspettative che abbiamo sopra ricordato, per l‘ottava volta della sua storia.

Il Reggente Marco Marsilli

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