Che il Nobel per la Pace sia andato a due giornalisti è una pessima notizia. Sarebbe stato molto meglio se non ce ne fosse stato bisogno. Invece ci sono ancora luoghi dove scrivere quello che si pensa è un atto di coraggio. Di buono c’è che adesso nessuno può dire di non saperlo.

La filippina Maria Ressa e il russo Dmitry Muratov, ai quali è andato il Premio, non sono i soli che lottano nei loro Paesi in difesa della libertà di espressione, condizione preliminare della democrazia, ma da ora in poi rappresentano tutti quelli che lo fanno. Forse hanno paura, di sicuro sono a rischio e le minacce che hanno ricevuto sono significative e ripetute. Adesso sono talmente sotto i riflettori che sarà più difficile colpirli. Nel mondo, però, di colleghi nelle loro condizioni ce ne sono molti, i loro nomi sono poco noti, e più fanno bene il loro lavoro meno si mettono in mostra, perché il ruolo dell’informazione è porre al centro dell’attenzione i fatti, non chi li racconta.

Anche per questo Muratov ha scelto di dedicare il riconoscimento al suo giornale, «Novaya Gazeta», e ai sei reporter uccisi per avere avuto i suoi stessi meriti. Avrebbe preferito che al suo posto fosse stato scelto Alexey Navalny, l’oppositore del Cremlino attualmente in carcere. Ma già dicendolo in un’intervista rilasciata appena appresa la decisione di Oslo, il Nobel per la Pace è l’unico che si assegna in Norvegia, ha rimesso in ordine le cose e ha lanciato un segnale chiaro.

Anche il riconoscimento a Maria Ressa è emblematico da questo punto di vista. La giornalista filippina è co-fondatrice del sito di notizie Rappler, che dal 2012 ha raggiunto 4 milioni e mezzo di follower su Facebook. Su quella testata si possono leggere le uniche inchieste critiche nei confronti del presidente Rodrigo Duterte prodotte nelle Filippine. Approfondimenti sulle violazioni dei diritti umani e sulla corruzione che sono costate alla reporter numerosi processi e una condanna per diffamazione, per la quale rischia fino a sei anni di carcere. Secondo la motivazione del Premio, invece, Ressa ha utilizzato la libertà di espressione per «smascherare l’abuso di potere, l’uso della violenza e il crescente autoritarismo nel suo Paese natale».

Il Nobel ai due giornalisti è stato applaudito unanimemente, sia dall’Unione Europea sia dalle Nazioni Unite. Per «Reporter senza frontiere», che da anni denuncia la repressione della libertà di stampa in varie aree geografiche, il Premio equivale a «una chiamata alla mobilitazione, alla difesa del giornalismo». Per fortuna ci sono giornalisti coraggiosi, peccato ce ne sia bisogno.

La filippina Maria Ressa e il russo Dimitry Muratov simbolo di quanti lottano in difesa della libertà di espressione

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