ACCADE ALL’ONU
L’INTERNATIONAL WORLD HABITAT DAY

 

«In biologia è l’insieme delle condizioni ambientali in cui vive una determinata specie di animali o di piante». Quindi ci riguarda. «Per estensione in ecologia corrisponde all’ambiente e misura le condizioni generali di un insediamento urbano, e il complesso delle strutture, naturali e artificiali, che lo caratterizzano». Così il dizionario definisce la parola «habitat». Sugli scaffali della sua libreria Iosif Brodskij di vocabolari ne aveva ventisei, tra i quali sette di tedesco e due di giapponese. Troppi sicuramente per chi non ha l’aspirazione di vedersi assegnato il Nobel per la letteratura, ma basta aprire l’unico che giace inutilizzato da troppo tempo sulle mensole dell’Ikea piegate dal peso per capire che quando le Nazioni Unite indicono l’«International World Habitat Day» stanno parlando della nostra vita, tutti i giorni, anche in ambiti diversi da quelli di più immediata intuizione. Dal 1985 il primo lunedì di ogni ottobre dal Palazzo di Vetro ci chiedono di fermarci un momento a guardare quello che abbiamo intorno, principalmente nelle città, e di valutare come stanno andando le cose.

Quest’anno il giorno fatidico è il 4 ottobre, lo stesso del primo rintocco di Maria Dolens, quello del 1925. Forse è un caso, sempre che il caso esista, ma la confluenza delle due celebrazioni crea un immediato cortocircuito mentale: si può vivere in Pace senza tenere conto dell’ambiente che ci circonda?

L’umanità conta le vittime di guerra in termini di soldati e civili morti, di feriti, di città distrutte, e di scarsità di mezzi di sussistenza. Spesso però l’ambiente è la vittima ignorata dei conflitti e al tempo stesso la causa degli scontri. Battaglie per i pozzi finiscono spesso per rendere inutilizzabile l’acqua, avvelenata prima della ritirata perché non resti nelle mani del nemico. Lo stesso accade per i raccolti bruciati, le foreste abbattute, gli animali uccisi. I campi minati rendono alcune zone inaccessibili per anni.

Spesso però l’ambiente è la vittima ignorata dei conflitti e al tempo stesso la causa degli scontri

I vantaggi militari si pagano anche in termini ecologici ed è un cane che si morde la coda. Secondo uno studio pubblicato il 27 maggio 2016 dallo United Nations environment programme (Unep), infatti, da una parte le guerre distruggono l’ambiente, dall’altra un habitat insano rende più probabili i conflitti. Insomma un ecosistema sano e delle risorse bene gestite riducono il rischio di scontri. Un altro motivo per mirare alla piena attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

La direttrice esecutiva dell’Unep, Inger Andersen, conferma che «guerra e ambiente sono profondamente interconnessi». I dati parlano chiaro: «In tutto il mondo almeno il 40 per cento dei conflitti interni è stato collegato allo sfruttamento delle risorse naturali, siano esse di elevato valore come legname, diamanti, oro e petrolio o risorse scarse come terra fertile e acqua». Non solo, «è stato anche riscontrato che i conflitti che coinvolgono le risorse naturali hanno una probabilità doppia di riaccadere». Il riscaldamento globale non aiuta, perché l’aumento delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici minaccia di amplificare ulteriormente gli stress e le tensioni ambientali. «E, troppo spesso – continua l’esperta – l’habitat è tra le vittime della guerra, attraverso atti deliberati di distruzione o danni collaterali, o perché, durante i conflitti, i governi non riescono a controllare e gestire le risorse naturali». È chiaro dunque perché le Nazioni Unite attribuiscono «grande importanza a garantire che l’azione ambientale faccia parte delle strategie di prevenzione dei conflitti perché non può esserci Pace duratura se le risorse naturali che sostengono i mezzi di sussistenza e gli ecosistemi vengono distrutte».

Della stessa opinione il segretario generale dell’Onu, António Guterres, convinto che le risorse naturali e gli ecosistemi possono essere gestiti meglio e che un cambio di atteggiamento «potrebbe aprire la strada alla Pace nelle società dilaniate dalla guerra e aiutare i Paesi colpiti dalla crisi a promuovere lo sviluppo sostenibile». Se vogliamo raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile , sostiene, «dobbiamo agire con coraggio e urgenza, per ridurre i rischi che i conflitti presentano per il degrado ambientale e il cambiamento climatico e impegnarci a proteggere il nostro pianeta dagli effetti debilitanti della guerra».

Ecco allora che il rapporto tra ambiente e conflitti diventa di strettissima interdipendenza. Lavorare per la Pace significa anche occuparsi di habitat, è un fatto. Forse non è un caso allora che la Giornata internazionale dell’Onu quest’anno cada proprio il 4 ottobre, nel giorno esatto in cui, 96 anni fa, da Rovereto è partito il primo rintocco, il primo invito di Maria Dolens a occuparsi dei caduti, della Pace e quindi anche dell’ambiente.

Si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra) scriveva Vegezio, che però viveva in un mondo nel quale il buco dell’ozono era lontano da venire. Forse se vogliamo veramente la Pace dovremmo curare l’ambiente così come manteniamo in forma il nostro corpo per essere certi che risponda anche la mente.

Le iniziative a favore dell’habitat vanno viste anche come strategie per prevenire i conflitti

Mens sana in corpore sano funziona per ognuno di noi, perché non dovrebbe essere valido anche per la comunità mondiale che ci vede tutti uniti. Giovenale ha coniato questa locuzione pensando al corpo e alla mente di una singola persona, magari qualche letterato latinista di oggi potrebbe coniarne una che faccia riferimento all’umanità (tutta) e all’ambiente (di tutti). Si accettano proposte, il titolo è solo la prima. La mail alla quale scrivere la trovate in prima pagina.

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