La Campana venne finalmente fusa a Trento il 30 ottobre 1924 nella fonderia di Luigi Colbacchini presso il Dos Trento. Erano presenti assieme ad alcune madrine e al principe vescovo di Trento monsignor Celestino Endici, un limitato gruppo di autorità ed invitati. Al momento della fusione le madrine gettarono nel bronzo bollente l’oro offerto dalle donne italiane. Nel cortile della fonderia vi erano due grandi fornaci che ardevano, ingoiando cataste di legna, mentre tra i due forni, sepolta sotto terra a circa tre metri di profondità si trovava la forma della Campana in gesso ed in cera, preparata dallo scultore Zuech, nel mezzo della quale si apriva la “bocca” che doveva raccogliere il bronzo liquido fuoriuscente. Alle 10.30 ebbe inizio il rito. Il vecchio fonditore impartì ordini imperiosi : il momento era solenne e i cuori trepidanti. Ad un tratto, però, una delle fornaci iniziò a rompersi ed il metallo incominciò a defluire dalla fenditura. Al grido “In nome di Dio” vennero allora aperte le bocchette dei forni ed il bronzo incandescente iniziò a colare verso il calco della Campana: era il momento della fusione. Don Rossaro nel diario così commentò il momento: «Tutto dura 8 minuti. Il grido Viva d’Italia annunzia che tutto è riuscito bene. Suonano le campane. Sparano i cannoni. Trento espone le sue bandiere – in molte case si recita il S. Rosario. Nelle scuole si canta la “Canzone del Piave”». Dal punto di vista figurativo, la Campana era riuscita un’opera egregia. La forma snella e dignitosa l’ebbe dal fonditore, la decorazione da Stefano Zuech. Il suo peso raggiungeva i 110 quintali, con un’altezza di m. 2,58 ed un diametro di m. 2,55. Nel suo interno potevano trovare posto fino a dodici persone. Era la più grande Campana d’Italia e tra le più grandi del mondo, superata solo da quella del Cremlino, a Mosca, da quella del duomo di Colonia e da quella di S. Stefano a Vienna. Anche il battaglio si presentava come un gioiello d’arte donato dalla ditta Franchi-Gregorini Metallurgia Italiana di Brescia in memoria dei caduti della città, fu inciso a mano da Gaetano Ticci di Siena su disegno dell’ing. Egidio Dabbene. Era alto circa 2 metri, pesava 4 quintali e la lavorazione era a corone di fiori e foglie con alla base incisa la data 1925 in cifre romane (MCMXXV).
Nei mesi successivi, in attesa del raffreddamento del bonzo e del giorno del suo solenne ingresso a Rovereto, don Rossaro, instancabile costruttore di una leggenda contemporanea, si preoccupò di creare attorno alla Campana un alone di poesia e di spiritualità, arricchendola così di una nutrita letteratura di fatti grandi e piccoli, non senza l’enfasi un po’ retorica del tempo, legata appunto al culto dei caduti per la patria. Tra le prime iniziative (avviate precedentemente alla fusione) don Rossaro cercò di coinvolgere le figure dello Stato al più alto livello, invitando tutti i generali e i comandanti che avevano preso parte al conflitto a dettare un pensiero o un motto. Inoltre chiese alla Regina madre Margherita, madrina della Campana, una preghiera, che ella scrisse di suo pugno: “Signore, accogliete nella vostra Luce le anime eroiche di Coloro che hanno rinunziato ad uno dei maggiori doni Vostri, dando la vita per l’onore della gloria della nostra Patria; e fate che nel suono di questa Campana, si fondano, le preghiere, che a Voi s’innalzano da questa terra di martiri ed eroi, con quelle che scendono dal Cielo, in una sola invocazione, a Voi Signore, per l’avvenire e la grandezza d’Italia!

Giugno 1924 Margherita” Le iniziative continuarono a fiorire nella mente di questo sacerdote, ed ecco l’idea di chiedere agli artisti italiani di inviare una pergamena rappresentante un campanile o una torre della propria città. Fin all’ottobre del 1922 era nata l’iniziativa di raccogliere le 12.000 firme degli oblatori in un “Albo d’oro della Campana” che rimanesse ad attestare la riconoscenza di quanti avevano contribuito all’iniziativa. L’albo venne steso in tre esemplari: uno venne collocato il giorno dell’inaugurazione della Campana, in un apposito spazio ricavato nella prima pietra, il secondo trovò sistemazione in archivio per la consultazione, ed un terzo in carta pergamena venne donato al Municipio per la Bibliolteca Civica, e quest’ultimo esemplare si volle ornare più degnamente con una serie di tavole miniate. Fu così lanciato un appello agli “artisti di buona volontà” perchè inviassero una pergamena da loro dipinta. Tra le norme alle quali dovevano attenersi gli artisti una prevedeva: “Il tema da svolgersi sarà la monumentale Campana dei Caduti festeggiata dalle sorelle d’Italia. In ogni pergamena dovrebbe quindi campeggiare un motivo analogo: qualche campanile storico, qualche antica torre, qualche artistica cupola, con campane che squillano festosamente, accordando la loro voce con quella della sorella maggiore. Ogni provincia ha qualche torre o campana celebri nell’arte o nella storia: ebbene diano queste il loro omaggio e rifulgano sulla pergamena che dovrà ornare il prezioso volume”. L’appello non rimase inascoltato e da tutte le parti d’Italia giunsero adesioni di artisti più o meno noti ed altrettanto valenti. La prima pergamena arrivò nel luglio del 1924 e fu quella della città di Macerata, finemente miniata, opera del prof. Elia Banci, e ad essa seguirono ben presto quelle di Benevento, Brescia, Perugia e molte altre. Accanto a questa idea nacque anche quella di chiedere alle donne italiane, madri, vedove, orfane e mogli di caduti, l’offerta di vari oggetti in oro: orecchini, spille, anellini, medagliette ed altre ninnoli inservibili, senza valore artistico, per essere fusi assieme al bronzo dei cannoni in modo da migliorare la composizione del metallo, quale omaggio di pietà e di amore. Anche questo appello fu prontamente raccolto e così in breve tempo affluirono a Rovereto molti oggetti d’oro, spesso accompagnati da lettere o biglietti particolarmente commoventi. Una persona anonima scrisse:

“Mando questo anello perchè contaminato, si purifichi e si consacri nella fiamma mistica della Campana degli Eroi”.


Un’altra lettera che accompagnava un anellino diceva: “Me lo diede partendo pel campo, donde non più ritornerà. Diventato Campana porti alla sua sperduta tomba, ogni sera, il mio bacio e la mia prece”. Commoventi pure le brevi righe alle quali era unita una crocetta d’oro: “Fui sorriso di culla; fui pianto di tomba; ora sarò canto di pace e di gloria!”. Dall’Ungheria giunse una lettera anonima contenente una crocetta d’oro, senza alcuna parola e don Rossaro non ebbe il coraggio di fonderla ed anzi la conservò, con cura pensando a chissà quanto dolore, quali speranze portava con se. Fra le prime offerte vi furono quelle della vedova di Cesare Battisti, della madre del martire Fabio Filzi e della vedova di Nazario Sauro. Intanto il tempo passava, e il 10 novembre 1924 venne presentato dall’arch. Giovanni Tiella il progetto per il sostegno della Campana del Caduti, consistente in un grande anello di cemento posto alla base del bastione Malipiero sopra il quale era prevista la sistemazione di un’impalcatura in travi dell’altezza di circa 10-12 metri, un disegno semplice nella sua linea architettonica e nello stesso tempo austero, che permetteva la visione della Campana da ogni punto della vallata e ne rendeva libera il movimento durante il suono.

Don Rossaro, da parte sua, per raccogliere ulteriori fondi diede incarico all’incisore Carlo Cainelli della realizzazione di un’acquaforte da porre in vendita in numero limitato di copie, ma purtroppo l’opera non fu poi realizzata per la morte improvvisa dell’autore avvenuta l’8 febbraio 1925.

Si pensò anche di preparare il calendario della Campana per l’anno 1925, per il quale venne incaricato l’arch. Giovanni Tiella che ne curò la veste grafica e disegnò la bella copertina. Grazie alla creatività di Tiella, e su precise indicazioni di don Rossaro, venne realizzata anche la bandiera ufficiale della Campana, da issarsi come uno stendardo sul pennone del castello. Essa era azzurra, con al centro un elefante (simbolo di magnificenza ed eternità) che sorreggeva la Campana, mentre ai suoi lati si trovavano una stella ed una mezza luna dorata. Il vulcanico sacerdote pensò pure alla poesia ed all’inno della Campana, dei quali scrisse i testi. In realtà, per quanto concerne la poesia, un primo testo don Rossaro lo aveva steso sin dall’autunno 1922 mentre era in treno durante il viaggio di ritorno da Vienna, dove si era recato per un incontro con le autorità austriache per richiedere i cannoni da fondere. Nella capitale austriaca sebbene ex irredentista, volle comunque rendere omaggio alle tombe degli Asburgo, in un “atto di conciliazione con la storia”. Nel 1924 venne perciò “lanciato “ il concorso nazionale per musicare l’inno ufficiale della Campana che, secondo il bando, doveva essere “di indole popolare, di forma semplice e piana ad una sola voce e tale da potersi eseguire anche marciando”. Ben 97 furono i concorrenti che presentarono i loro lavori, e quando, il 29 febbraio 1925, si riunì la commissione giudicatrice la vittoria fu assegnata al maestro Ero Mariani di Milano (l’Inno venne poi eseguito per la prima volta in occasione del battesimo della Campana).

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