DAL CONSIGLIO D'EUROPA
DALLA CONVENZIONE DI FARO AL PROGETTO STEPS

Perché dovrei preoccuparmi dei posteri? Cosa hanno fatto i posteri per me?". Groucho Marx come tutti i grandi umoristi apre praterie di pensiero laterale. In effetti conservare il patrimonio culturale per chi verrà dopo di noi sembrerebbe una cosa senza una utilità immediata. Non sappiamo nemmeno a chi lasceremo le cose a cui teniamo di più. Se si trattasse di un insieme di oggetti ben fatti non ci sarebbe motivo di sforzarsi tanto. Ognuno le chiese e gli anfiteatri se li costruisce come vuole. Ma se parliamo di "risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione", come sostiene la Convenzione di Faro, allora finisce che questi reperti del passato ci spiegano chi siamo. Magari i “posteri” siamo noi.

Di certo il patrimonio culturale è il frutto dei complessi processi sociali attraverso i quali le persone identificano quelle cose che hanno un valore da trasmettere alle generazioni future. E non si parla solo di affreschi, di sinfonie o di cupole che sfidano da secoli la forza di gravità, ma di una rete di significati che rafforza l’idea di appartenenza e di comunità.

"Decidere insieme, in ogni comunità, le cose che ci identificano"

In anni di attività il Consiglio d’Europa, anche grazie alla Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società, che ha preso il nome dalla città portoghese nella quale è stata firmata, ha ampiamente dimostrato che le attività culturali e sociali forniscono occasioni di interazione tra persone con background diversi che non solo migliorano l’identità pluralistica della comunità, ma rafforzano anche il rapporto con il territorio. Festival, eventi o semplicemente esperienze e pratiche ricreative quotidiane promuovono fiducia, dialogo e comprensione reciproca tra società diverse. Per questo la Commissione europea e il Consiglio d’Europa hanno appena varato congiuntamene un progetto pilota che ha preso il nome di STEPS e che ha lo scopo di favorire e promuove una mappatura partecipativa del patrimonio culturale. Un processo in cui ai membri della comunità viene assegnato il ruolo di identificare quei beni materiali e immateriali che sono riflesso ed espressione dei loro valori, delle credenze, delle conoscenze e di tradizioni in continua evoluzione.

La sfida è quella di decidere insieme le cose da caricare sull’arca di Noè perché non vengano spazzate via dalla tempesta del tempo. Negoziando tra di noi l’inventario dei beni che hanno diritto di sopravvivenza possiamo quindi costruire una mappa culturale che costituisce l’identità pluralista della comunità in cui viviamo. Non ci sono preclusioni, nei cartoni del trasloco temporale si possono mettere oggetti o valori immateriali, vanghe e tradizioni, poesie e pattinaggio su ghiaccio, suoni organizzati e ricette improvvisate, qualsiasi espressione della creatività umana: quello che chi vive e lavora su un territorio ritiene significativo. Poi confrontando i nostri risultati con quelli degli altri potremmo accorgerci che le ricette della nostra nonna materna potrebbero interessare anche a qualcuno che abita lontano, magari aggiustando un po’ di sale.

Troppo teorico? Ci sono degli esempi concreti. Le città di Rijeka, in Croazia, e di Lisbona, in Portogallo, sono state scelte nel 2017 per sperimentare questa metodologia. Hanno mappato il patrimonio culturale condiviso e dimostrato come un approccio interculturale incentrato sull’idea di luogo, possa consentire a una città di aprire l’identità urbana a tutte le comunità, aumentando così la fiducia, il riconoscimento reciproco, l’interazione e, in ultima analisi, la coesione sociale. Pare che funzioni, e ci sono anche i finanziamenti per farlo.

mauritas cornelis escher

Maurits Cornelis Escher, "Concavo e convesso" (1955)

Iscriviti alla nostra newsletter

Quando invii il modulo, controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione