IL RAPPORTO DEL COE

 

Il Consiglio d’Europa (CoE), l’organizzazione paneuropea la cui ragion d’essere consiste nella protezione/promozione dei diritti dell’uomo, della democrazia e del primato della legge, ha pubblicato di recente il suo nuovo Rapporto, il cui titolo «Moving forward» (Procedendo in avanti) può essere interpretato anche come un’implicita aspettativa di tempi meno problematici degli attuali.

Si tratta di un corposo documento di poco meno di 70 pagine, che delinea la strategia dell’entità multilaterale per un quadriennio. Esso è rintracciabile sul sito del CoE (anche se per il momento non in lingua italiana) e, come di norma, è posto sotto la diretta responsabilità del Segretario generale in carica, dal 2019 la croata Marija Pejčinović Burić.

Sul piano dei contenuti, esso individua una serie di macro-aree (dodici per la precisione) sulle quali concentrare anche per il futuro l’impegno dell’organizzazione di Strasburgo. In moltissimi ambiti (le sole eccezioni riguardando problematiche di recente apparizione, quali l’intelligenza artificiale o i crimini informatici, “cybercrime”) può essere fatto sicuro affidamento sulla solidissima esperienza maturata dal 1950 a oggi, condensata nelle decine di Convenzioni fra Paesi (soprattutto membri, ma non escludendo il coinvolgimento anche di Nazioni “terze”) che hanno, da allora, visto la luce.

Senza possibilità di enumerarli tutti, in tali settori sono ricomprese la libertà di espressione, inclusa quella a mezzo stampa; la non discriminazione e, anzi, la mirata protezione dei gruppi vulnerabili; la garanzia di sistemi giudiziari indipendenti ed efficienti, in grado di sconfiggere fenomeni quali la corruzione e il riciclaggio di denaro; la difesa dell’ambiente, in raccordo con le iniziative di contrasto al cambiamento climatico promosse su scala più ampia (Nazioni Unite in primis); il rafforzamento delle cosiddette “società civili”, anche attraverso la creazione in tutti gli Stati membri dell’istituto del difensore dei diritti dell’uomo.

Un chiaro monito a evitare per il futuro eventuali comportamenti “fuori norma”

Per inciso, quest’ultima raccomandazione tocca da vicino un nervo scoperto per l’Italia, uno dei pochissimi Paesi europei a non avere sin qui istituito, in tale sensibile materia, una Autorità nazionale con attribuzioni a 360 gradi. Si è infatti sin qui preferito spezzettare compiti e attribuzioni fra varie figure “settoriali” (garanti dei detenuti, dell’infanzia, della privacy, ecc.) certamente meritevoli di riconoscimento per l’attività svolta, ma prive di una necessaria visione d’insieme.

La criminale aggressione compiuta solo pochi mesi prima della pubblicazione del Rapporto da un (in quel momento) componente il foro di Strasburgo ai danni di un Paese vicino e a sua volta membro dell’organizzazione, può, di primo acchito, indurre a considerazioni riduttive sulla valenza del documento. Da parte di taluni può esistere, in altri termini, la tentazione di considerarlo come una raccolta di principi certamente nobili e virtuosi ma non in grado di sostenere l’impatto con le ben più dure e concrete esigenze della realpolitik. Pochi dubbi sussistono sul fatto che la Federazione Russa si sia posta, dopo il 24 febbraio, in aperto e radicale contrasto con pressoché tutti i valori enunciati nel Rapporto della Segretario generale. A titolo di esempio, in materia di assenza di libertà di espressione, basta la considerazione che una qualunque critica rivolta al Cremlino da un cittadino russo sulla condotta delle operazioni militari è ormai punibile con svariati anni di carcere. Inoltre, di indipendenza della magistratura, in un sistema già in precedenza fortemente tributario del mondo politico, non esiste oggi, nella Federazione, praticamente più traccia. E la lista sarebbe ancora lunga. Nonostante ciò, importanti consessi internazionali (fra i quali il G-20) continuano a mantenere aperte le porte a Putin, a Lavrov e ad altri dirigenti russi.

Secondo una diversa, e più positiva, chiave di lettura, il valore del documento consiste invece nel mettere in chiara evidenza come il rispetto delle 12 macro aree rappresenti una sorta di “indispensabile lasciapassare” per l’appartenenza all’organizzazione di Strasburgo. Beninteso, è ampiamente riconosciuto come alle stesse possono applicarsi determinati margini di flessibilità. A titolo di esempio, sia la storia pregressa che la attuale congiuntura politica di Cipro differiscono profondamente da quelle esistenti in Armenia (le due entità statuali non sono citate a caso, ma in quanto aderenti nel corso del 2022 al “memorandum di Pace” della nostra Fondazione). Non sarebbe di conseguenza corretto pretendere che l’applicazione dei principi CoE risulti assolutamente identica a Nicosia come a Erevan. Al tempo stesso, gli stessi non potrebbero risultare talmente “diluiti” da essere privati di identificazione e di significato, al punto da mettere a repentaglio la credibilità stessa del Consiglio che li ha deliberati.

Di conseguenza, nelle valutazioni (che mi sento personalmente di condividere) del Rapporto, non ci troviamo, in questo 2022 così tormentato e dalle declinanti certezze, di fronte a un insuccesso del multilateralismo, ma bensì a un ingiustificato atto di violenza da parte di uno Stato membro, già in passato oggetto di sanzioni a Strasburgo. Nel 2014, a seguito dell’annessione della Crimea, l’esclusione aveva riguardato solo la componente parlamentare e non era sfociata come nell’anno in corso nella sospensione/espulsione della Federazione Russa dall’organizzazione paneuropea intervenuta, lo ricordiamo, nel Semestre di Presidenza italiana, e molto ben gestita, sul piano procedurale.

«Il nostro successo come risiede nella determinazione degli Stati membri di continuare a fare le cose giuste»

Da questo punto di vista, il rispetto dei core values ha nettamente prevalso su quel principio della inclusività cui il CoE guarda, sin dalla sua origine, con grande attenzione, in particolare nei confronti di due suoi membri (la Federazione Russa e la Turchia) considerati sino a un recentissimo passato come degli autentici “valori aggiunti” dell’entità paneuropea. Nel momento in cui Unione Europea e Nato hanno messo in moto, pressoché all’unisono, le procedure interne previste per l’allargamento delle rispettive membership, da Strasburgo giunge un segnale in controtendenza, sulla base di una condivisa esigenza di “compattamento” che include un chiaro monito a evitare per il futuro eventuali comportamenti “fuori norma”.

Vorrei concludere queste mie riflessioni riportando le parole finali del Rapporto della Segretario Generale. «La lezione da trarre è che, una volta di più, il nostro successo come CoE e come area geografica di riferimento risiede nella determinazione degli Stati membri di continuare a fare le cose giuste, investendo ogni sforzo nella affermazione dei diritti dell’uomo, della democrazia e del primato della legalità».

Parole solo in apparenza scontate, ma che, a ben vedere, costituiscono il presupposto per permettere che anche nel futuro le nostre vite si svolgano all’interno di società libere e democratiche, come fortunatamente avvenuto negli ultimi decenni. All’attuazione di tale modello di società il Consiglio d’Europa presta da 73 anni a questa parte un determinante contributo di propositi e di realizzazioni. Gli uni e le altre potrebbero trarre nuova linfa vitale dallo svolgimento di un prossimo vertice dei Capi di Stato e di Governo (si tratterebbe del quarto dalla sua creazione ) verso il quale sembra favorevolmente orientata, in una prospettiva di breve periodo, una parte consistente della membership di Strasburgo.

 

Il Reggente, Marco Marsilli

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