Non solo siamo fragili, ma se non vogliamo peggiorare la nostra condizione dobbiamo aiutare chi è più fragile di noi. Non è una precetto religioso, né un'utopia buonista, è economia. Lo dice la Banca Mondiale: il maggior pericolo per la sicurezza globale viene dalla debolezza degli Stati nazionali. C'è voluta una pandemia, ma alla fine l'abbiamo capito. Chiamando le cose con il loro nome, Senato e Camera degli Stati Uniti hanno approvato, con un insolito e massiccio voto bipartisan, il Global Fragility Act, che chiede alla Casa Bianca di «avere come priorità nei prossimi dieci anni una strategia di aiuti all'estero» andando a «combattere alle radici le cause dell'instabilità» con programmi per aggredire «disagio, diseguaglianze e povertà al fine di prevenire violenze e conflitti». Più o meno quello che è scritto nel Memorandum di Pace firmato dai Paesi che scelgono di issare la loro bandiera sul Colle di Miravalle. Finora, pur compiacendoci dei vantaggi della globalizzazione e dell'interconnessione, pensavamo di poter vivere tranquillamente mentre intorno continuavano a sparare. Non si può fare. Già siamo fragili se stiamo uniti, figuriamoci da soli. Orecchie aperte alle 21.30.

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