I POETI E LA GUERRA

 

«Vedo di fronte a me un mondo doloroso e sempre più squallido… La parola speranza è completamente cancellata dal mio vocabolario». Pier Paolo Pasolini non faceva sconti. I poeti non possono fare sconti. A cento anni dalla nascita le parole del grande intellettuale visionario risultano non solo attuali, ma fastidiose, perché nulla sembra cambiato. È inutile chiedersi quello che avrebbe scritto, perché lo ha già scritto: «Lo sapevi, peccare non significa fare il male. Non fare il bene, questo significa peccare».

Aldilà delle responsabilità, e delle cause economiche, politiche e geopolitiche dell’orrore che stiamo vivendo dopo l’invasione russa dell’Ucraina, quello che sembra mancare sono proprio gli intellettuali, i poeti, gli scrittori, i pittori, i compositori. Qualcuno che usi quello che sa fare per dire quello che pensa, per guardare verso il futuro, dentro l’anima umana, o per lo meno in fondo alla sua. Come faceva Quasimodo per esempio: «Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. (…) T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta». Ma non c’è bisogno di andare così lontano nel tempo, si può risalire ai nostri giorni con la poetessa siriana Maram al-Masri, riparata a Parigi per fuggire agli orrori della guerra che squassa il suo Paese da anni: «Lo avete visto? Teneva il figlio in braccio e si faceva largo a passo spedito camminando dritto e a testa alta. Quel figlio si sentirebbe tanto orgoglioso e felice tra le braccia del padre se solo fosse vivo».

Forse è tutto inutile, a farne le spese saranno sempre gli stessi e dovremo rassegnarci alla logica di Bertolt Brecht: «La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente». Oppure dovremmo starcene a guardare perché come ci ricorda Wisława Szymborska «dopo ogni guerra c’è chi deve ripulire. In fondo un po’ d’ordine da solo non si fa. C’è chi deve spingere le macerie ai bordi delle strade per far passare i carri pieni di cadaveri. C’è chi deve sprofondare nella melma e nella cenere, tra le molle dei divani letto, tra le schegge di vetro e gli stracci insanguinati. (…) Sull’erba che ha ricoperto le cause e gli effetti, c’è chi deve starsene disteso con la spiga tra i denti, perso a fissare le nuvole». Forse ha ragione l’adorata Wisława, ma al meno «la spiga tra i denti» cerchiamo di evitarla. Fa troppo male.

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