ACCADE ALL'ONU

 

«Quali sono le implicazioni delle nuove regole sui social media dell’Unione europea per il resto del mondo?». Il tema del workshop tenuto recentemente dall’Onu e dall’Ue nell’ambito dell’evento dedicato al Digital Services Act è spinoso e complesso. Si tratta di capire che tipo di risultati si ottengono cercando di regolamentare le informazioni che chiunque può dare online senza alcun controllo.

Nel corso di una tavola rotonda moderata da Melissa Fleming, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per le comunicazioni globali, è emerso chiaramente che le piattaforme digitali hanno portato molti benefici, sostenendo le comunità in tempi di crisi, elevando le voci emarginate e aiutando a mobilitare i movimenti globali per la giustizia razziale e la parità di genere.

Allo stesso tempo però, questi strumenti vengono utilizzati per sovvertire la scienza, diffondere disinformazione e odio, alimentare conflitti, minacciare la democrazia e i diritti umani e compromettere la salute pubblica e l’azione per il clima. Secondo il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, «la capacità di diffondere disinformazione su larga scala per minare fatti scientificamente accertati rappresenta un rischio esistenziale per l’umanità».

L’unico modo per affrontare un problema globale, ovviamente, non può essere che una risposta internazionale e concertata che punti all’applicazione delle raccomandazioni contenute nel documento programmatico sull’integrità delle informazioni diffuse sulle piattaforme digitali, che è stato lanciato proprio da Guterres nei mesi scorsi. Il testo contiene proposte per rendere lo spazio digitale più sicuro e inclusivo, proteggendo al contempo con forza i diritti umani. Ma le Nazioni Unite stanno sviluppando anche un “Codice di condotta” per i giornalisti in vista del «Vertice del futuro» che si terrà il prossimo anno. Il tentativo è quello di ottenere cambiamenti significativi da parte delle piattaforme digitali, compreso l’impegno ad abbandonare modelli commerciali dannosi, per privilegiare l’impegno rispetto ai diritti umani, alla privacy e alla sicurezza.

La questione che rimane aperta, però, è la solita: quale istituzione sarà in grado di far applicare questo genere di regole? Al momento è difficile ipotizzare che questo sia possibile. Certo si deve operare per limitare le false notizie, ma potrebbe essere utile anche “allenare” le persone a selezionare le fonti e a non fermarsi ai titoli degli articoli. E forse non basta nemmeno questo. Facciamo un esempio concreto: il 98,6% degli italiani è alfabetizzato, ma sfiora il 30% la quota di cittadini tra i 25 e i 65 anni con limitazioni nella comprensione del testo. Chi aiuterà quel 30% a selezionare notizie che non riesce a comprendere a pieno? Certamente il Codice di condotta è una condizione necessaria, ma al momento non sembra sufficiente.

Iscriviti alla nostra newsletter

Quando invii il modulo, controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione