PER CHI SUONA LA CAMPANA - P7

 

Il battesimo c’era stato, ma le celebrazioni non erano finite. Non era stato facile portare la Campana sul torrione, che sembrava dover essere la sua sistemazione definitiva, ma ora bisognava pensare all’ultimo rito, fissato per il 4 ottobre 1925. Tra gli invitati c’era anche il re d’Italia, Vittorio Emanuele III, che pochi giorni prima chiese di rimandare l’impegno. «La data la fissai in onore di S. Francesco, il Santo della fratellanza universale, preferisco rinunziare… piuttosto che trasportare questa data altamente significativa» rispose don Rossaro al prefetto Guadagnini che aveva avanzato la richiesta per conto del sovrano. Il re rimase male, ma mantenne la parola data. L’episodio rimase confidenziale e non incise sull’accoglienza ricevuta dal sovrano, atteso in città da rappresentanti di nazioni estere, da tutte le madrine, da membri delle istituzioni civili e militari e da una folta schiera di fascisti. Dopo il discorso di don Rossaro, che riassumeva il faticoso percorso che aveva portato a quel momento, intervenne un rappresentante della «Croce Nera» dell’Austria Superiore invocando l’eterna Pace sopra tutti i caduti, che «opposti doveri schierarono un giorno nemici in campo, ma oggi pia fraternità di armi cristianamente, italianamente, insieme accoglie». Sembrava che alla riconciliazione di don Rossaro, avvenuta nella Cripta dei Cappuccini a Vienna, ora seguisse quella del secolare nemico.

Forse qualcosa stava accadendo, forse Maria Dolens cominciava a dare i suoi frutti. Anche perché lo statuto della Campana (la Magna Charta, come la chiamerà don Rossaro) parlava chiaro. Il testo era stato elaborato pochi giorni prima, mentre gli uomini allestivano il torrione. La premessa parlava degli scopi umanitari che stavano alla base dell’iniziativa. Il primo articolo specificava che Maria Dolens era dedicata a «tutti» i caduti della Grande guerra mentre il secondo fissava la procedura: «La Campana dei caduti sarà suonata ogni sera all’Ora di notte, antica e gentile costumanza italica destinata al quotidiano culto dei trapassati».

Ormai tutto era pronto, era il momento più solenne. Al primo rintocco il re si irrigidì nel saluto militare, il generale Pecori Giraldi si rivolse al ministro Celesia chiedendo che don Rossaro fosse fatto commendatore. Ma il sacerdote non era contento: «Francamente il suono non era buono, - scrisse nel suo diario  - ad ogni rintocco passava il mio cuore, come una lama avvelenata. Non una gioia nella vita mi fu risparmiata dal veleno. Anche questa doveva essere avvelenata, e sereno, ma turbato, abbattuto ma forte, mentre tutti applaudivano pensavo: “la rifonderò”».

 

 

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