COP26

 

L'annuale riunione in ambito Nazione Unite consacrata alle misure di contenimento al cambiamento climatico, tenutasi nello scorso mese di novembre a Glasgow (sua sigla: CoP26), è risultata, come prevedibile, all’insegna di una accesa dialettica fra le entità partecipanti. All’interno di una preoccupazione, sostanzialmente condivisa, per l’oggettivo deteriorarsi delle condizioni di vita sul pianeta Terra, le valutazioni divergevano, e di molto, sulle misure, e relativi tempi di adozione, in grado di contrastarne l’aspetto in prospettiva più inquietante. Quest’ultimo è rappresentato, come ampiamente divulgato, dal fenomeno di accentuato surriscaldamento della nostra «casa comune», per utilizzare l’espressione cara, e pur se da lui utilizzata in un ambito decisamente più politico, all’ex Presidente russo Michail Gorbacev.

In sintesi, in un intrecciarsi sempre più complesso di defatiganti negoziati, di impegni assunti e non confermati nonché di intese subito contraddette dai fatti, la dialettica – spesso sfociata in scontro aperto – nella città scozzese calcisticamente conosciuta per essere la sede delle squadre arci-rivali del Celtic e dei Rangers, si è sviluppata su un duplice livello.

Il primo, ha interessato le quasi 200 delegazione ufficiali, in rappresentanza dei distinti “club” degli Stati industrializzati, di quelli in via di sviluppo e del cosiddetto “Gruppo dei 77”. A titolo di breve spiegazione, a quest’ultimo hanno la cattiva sorte di appartenere i Paesi più a rischio sul piano della futura sopravvivenza, vuoi per la endemica mancanza di risorse da destinare al settore, vuoi, in alcuni casi, anche a causa della loro particolare collocazione geografica (si pensi a quelli, a livello del mare, minacciati dal temuto innalzamento delle superfici acquatiche).

Nell’attuale contesto economico e industriale mondiale, le fonti di energia ad alto tasso di inquinamento (in primo luogo il carbone, ma senza trascurare il petrolio e i suoi derivati) risultano a tutt’oggi di predominante impiego (oltre il 50% del totale) nella produzione dei manufatti, sia per l’abbondanza di materia prima che grazie ai loro contenuti costi di ricavo e utilizzo. Anche sullo sfondo della esistente fase di recessione internazionale collegata al protrarsi della pandemia, per Paesi che ne fanno ampio uso (Cina, India, pressoché tutti gli “emergenti” che ne dispongono, ma anche nazioni tecnologicamente all’avanguardia, quali gli Stati Uniti), le priorità di carattere climatico e ambientale sono inevitabilmente destinate a confrontarsi con le esigenze di mantenimento, sul fronte esterno, della competitività sui mercati e, su quello interno, dei livelli occupazionali, suscettibili, le une come gli altri, di subire le conseguenze negative di processi di transizione verso la green economy, certamente virtuosi ma ritenuti troppo accelerati.

Il secondo, ha invece opposto il complesso delle rappresentanze ufficiali (con le varie distinzioni di interessi e sensibilità sopra evocate) al variegato, variopinto e “vocalissimo” mondo delle associazioni ambientaliste, accorse in maniera massiccia a Glasgow, anche in adesione al richiamo di riconosciute “icone” della cultura pro-clima, quali Greta Thunberg, Vanessa Nakate e altre. Dando vita a una sorta di “mobilitazione permanente”, le adunate di giovani (e più attempati) contestatori sono andate rapidamente diffondendosi nelle piazze dei cinque Continenti, raggiungendo livelli di partecipazione probabilmente sin qui inediti. Da parte di questo schieramento, mosso da un fervore quasi “messianico” circa l’assoluta urgenza delle misure alternative richieste per consentire al pianeta di sopravvivere, nessun dubbio si è palesato all’atto di qualificare di «totale fallimento», quando non addirittura di «deliberato tradimento», il risultato della riunione in ambito Onu.

«Non siamo mai stati così vicini a evitare il caos climatico», ha dichiarato l’inviato degli Stati Uniti John Kerry a conclusione dei lavori

A una analisi meno emozionale e più obiettiva, tenuto anche conto dell’esistenza di posizioni di partenza sideralmente lontane, alla predetta CoP26 sembra invece attribuibile un giudizio meno radicale, attenuato quanto occorre (il primo a mostrarsi pubblicamente deluso è stato, significativamente, il presidente britannico della Convenzione Alok Sharma), ma non del tutto negativo.

Il risultato di gran lunga più atteso e importante, la messa fuori legge del carbone è fallito – occorre riconoscerlo – a causa dell’intransigenza di alcuni, e soprattutto dell’India. Nessun Paese ha però messo in discussione la fissazione, fortemente raccomandata dagli scienziati, a 1,5 gradi del limite massimo ammesso entro il 2030 per il riscaldamento del pianeta. In aggiunta, gli Stati partecipanti si sono impegnati a presentare entro il prossimo anno piani nazionali di ulteriore riduzione delle emissioni nocive, a stanziare, per analogo fine, finanziamenti, a cedere tecnologia di nuova generazione ai Paesi meno sviluppati e a eliminare gli aiuti pubblici ai combustibili fissili “inefficienti”. Non trascurabili intese settoriali sono state altresì raggiunte, ad esempio, anche in materia di lotta ai processi di deforestazione e di utilizzo contingentato del gas metano.

Per concludere, le parole dell’inviato statunitense John Kerry, al quale va riconosciuto un impegno davvero straordinario per consentire che l’esercizio si concludesse con l’adozione di un documento sottoscritto all’unanimità (il cosiddetto Patto di Glasgow sul clima) e non, come ad esempio in occasione della CoP di Copenaghen del 2009, con un clamoroso nulla di fatto, paiono rappresentative di un mood sufficientemente condiviso. «Non siamo mai stati così vicini a evitare il caos climatico», ha dichiarato l’ex segretario di Stato Usa a conclusione dei lavori.

In mancanza di successo al primo tentativo, il titolo di un notissimo film di un suo illustre connazionale, Woody Allen, esorta il protagonista “a provarci ancora”. Nel caso delle tematiche climatico-ambientali, l’appuntamento della CoP27 è fissato esattamente fra un anno, in Egitto.

Nell’attesa, sotto il segno e al suono di “Maria Dolens”, Buone Feste a tutti!

 

Il Reggente, Marco Marsilli

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