LE CITTÀ UCRAINE DURANTE LA GUERRA

 

La cosa incredibile della guerra è che in alcuni luoghi tutto continua a scorrere come prima... e poi suona l’allarme antiaereo. Tra un allarme e l’altro la vita continua a scorrere, quasi normalmente, ma con maggiore intensità. Ogni gesto assume più senso, forse perché potrebbe essere l’ultima volta che lo fai. C’è un compositore, Yevhen Filatov, che va in giro per il Paese, da Kyiv a Lviv, da Odessa ai Carpazi, per registrare i suoni delle città. Un “documentario” fatto di voci, urla, macchine rimosse perché parcheggiate in divieto di sosta, fischi, vento, e gente che suona qualsiasi cosa. Ogni città ha la sua tavolozza di suoni, inconfondibili.

C’è una bambina che ha iniziato la sua carriera di “percussionista” bloccando una bottiglia di plastica con le gambe e battendoci le mani sopra. Poi è passata a un termos (con il tappo o senza, perché cambia suono), a bicchieri di vetro, lattine di bevande, tubi di plastica, giocattoli di gomma che premuti con due dita fischiano. Insomma quello che si porta in campagna per un picnic. Per ragioni di sicurezza non sempre può andare a scuola, ma ha imparato a usare quello che trova invece che a desiderare quello che non riesce ad avere.

Una anziana signora si guadagna da mangiare cantando in Piazza Sofia, un luogo con un’acustica eccezionale. Ovunque ti trovi senti tutto quello che accade intorno. Nello stesso posto, Andrij Chlyvnjuk, della band ucraina BoomBox, ha cantato senza strumenti, la prima strofa di Chervona Kalina, una canzone patriottica scritta da Stepan Čarnec’kyj nel 1914. Quando il 24 febbraio è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina i BoomBox erano in tournée negli Stati Uniti. Il cantante ha interrotto il tour è tornato e si è arruolato nelle forze armate. Ha registrato il video indossando la tuta militare. Il 27 febbraio era tutto online. E così un brano scritto in onore e memoria dei fucilieri di Sič sepolti in un cimitero vicino a Ternopil’ è diventato virale. È stato remixato da diversi artisti in tutto il mondo e ora è il simbolo della resistenza. Ma in realtà lo era anche durante il periodo sovietico, quando a causa dell’associazione con l’aspirazione all’indipendenza del popolo ucraino il canto era vietato. Ovviamente i patrioti lo intonavano in segno di sfida, rischiando l’arresto e qualche volta anche l’esilio. Oggi quel rischio non c’è più, c’è la guerra.

E c’è anche una ragazza che suona l’ocarina nei tunnel della metropolitana, perché ci vuole anche un po’ di bellezza in una vita quotidiana fatta di continua tensione. Ma ci sono anche edifici anneriti dalle bombe, statue di poeti ricoperte di sacchetti di sassi per difendersi dagli attacchi, orologi di campanili che suonano il mezzogiorno proprio mentre le sirene annunciano un imminente attacco aereo. Tutti vanno verso i rifugi, ma senza correre. Forse ci si abitua anche ai bombardamenti. Nei posti più sicuri qualche volta c’è anche un pianoforte che qualcuno accorda regolarmente tra un attacco e l’altro. Evidentemente le note stonate danno fastidio anche sotto i missili, o subito dopo più probabilmente. Secchi di vernice e ringhiere in ferro diventano strumenti a percussione, ma la notte è meglio stare a casa. E siccome i giovani sono giovani, e non possono più andare nei club a divertirsi come vorrebbero, hanno deciso di continuare a ballare di giorno. Li chiamano Repair together, sono una specie di rave, che iniziano al mattino presto, con un Dj su un palco improvvisato e centinaia di ragazzi che impastano calce a ritmo di musica elettronica, spostano macerie ballando e, chi è capace, alza qualche muro a piombo. Forse non ci sono più i giovani di una volta. Forse qualche volta ce ne sono di migliori. Forse sono le situazioni estreme a tirare fuori il meglio dalle persone. Forse era meglio non averne un’altra prova pratica. Forse bisognerebbe dare il meglio di noi per evitare che il meglio di noi venga fuori in situazioni come queste.

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