Tutte le vittime di persecuzione hanno la stessa dignità. Da qualunque parte abbiano combattuto o militato. Spesso per commemorare gli eccidi vengono utilizzate le parole “memoria” e “ricordo”. Forse sono le più adatte, forse le prime che vengono in mente. Si potrebbe giocare con i sinonimi, ma non si gioca quando si tratta di persone trucidate. La “memoria” è utilizzata per commemorare lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti che si celebra il 27 gennaio, giorno della liberazione di Auschwitz nel 1945. Il “ricordo” si usa per non dimenticare i massacri delle foibe e si celebra il 10 febbraio, data nella quale, nel 1947, furono firmati i trattati di Parigi che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro e la città di Zara. Sono cose molto diverse. Nel primo caso si tratta di una Giornata mondiale indetta dall’Onu, nel secondo di una solennità civile italiana. Anche l’entità delle stragi non è paragonabile: da una parte un genocidio programmato che ha portato alla morte 6 milioni di persone, dall’altro l’eccidio di militari e civili italiani da parte dei partigiani jugoslavi che ha causato dai 3.000 ai 5.000 morti, secondo alcuni storici più di 10.000. Non bisogna fare confusione, ma nemmeno dimenticare. La Campana suona per tutti.

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