STORIE DI TRENTINI NEL MONDO
L’ESPERIENZA DI JOÃO PEDRO STEDILE TRA I “SENZA TERRA”

 

Abbiamo chiesto ad alcuni discendenti di trentini emigrati di raccontare le loro storie in prima persona, ponendo l’accento su quanto la loro origine li abbia indirizzati e influenzati nella vita. Questo non sarebbe stato possibile senza l’attiva e amichevole collaborazione dell’Associazione Trentini nel Mondo, nata nel 1957 con finalità di solidarietà sociale e come strumento di aggregazione e assistenza per i migranti trentini e per i loro discendenti. Il personaggio da scoprire questo mese è l’attivista sociale brasiliano João Pedro Stedile.

La storia delle persone non può essere separata dalla storia della società, dei rapporti sociali e produttivi, anche se le persone possono cambiare la storia.

Il Brasile è stato il Paese che ha vissuto il periodo di schiavismo più lungo in tutto l’Occidente (1500-1888). Quando quel sistema non fu più sostenibile, perché l’acquisto, il trasferimento dall’Africa e il sostentamento degli schiavi era diventato costoso e anche perché gli schiavi morivano molto giovani (attorno ai 35 anni) o fuggivano, i capitalisti vollero passare al lavoro salariato. Il governo dell’epoca emanò due misure: una legge fondiaria che imponeva la proprietà privata della terra e un’altra che incoraggiava la migrazione di contadini dall’Europa in cambio dell’accesso alla terra. Fu così che tra il 1875 e il 1914 arrivarono in Brasile più di tre milioni di migranti da tutta Europa.

Negli anni Novanta dell’Ottocento arrivarono nello Stato del Rio Grande do Sul in Brasile due giovani, provenienti da Terragnolo: Vittorio e Giuseppe Stedile. Si sposarono presto. Ricevettero dal governo 25 ettari di terra, che dovevano pagare. Vittorio era il mio bisnonno. Si sposò con Santina Bortolotto. Ebbero diciotto figli. Mio nonno Antonio Stedile è nato nel 1901 e mio padre Arcides nel 1930.

La prima generazione di contadini migranti si dedicò interamente alla sopravvivenza, lavorando duramente una terra che non conoscevano, in mezzo alla foresta. La generazione di mio padre ha vissuto una trasformazione del capitalismo brasiliano, che smise di essere agrario e iniziò a sviluppare l’industria, basata sul capitale straniero. Tra il 1930 e il 1980, i contadini iniziarono a produrre materie prime e a fornire manodopera a basso costo per rendere redditizie le agroindustrie. Quasi tutti i miei zii sono diventati operai.

Era questa la situazione sociale ed economica quando nel 1953 mia madre Lourdes Agustini mi ha dato alla luce.

Arrivarono gli anni ‘80 e la prima crisi di questo modello economico. Non c’erano posti di lavoro nelle città e non c’era terra disponibile per essere coltivata. Il Paese era governato da una dittatura “militare-aziendale” (1964-84), funzionale alla situazione geo-politica di quel tempo, denominata «guerra fredda».

È stato in questo contesto che sono cresciuto e ho vissuto la mia giovinezza. Sono stato molto influenzato dai membri della Chiesa cattolica che avevano aderito alla Teologia della Liberazione e avevano trasformato la fede religiosa in pratiche di consapevolezza della realtà. Tutto questo ha fatto di me un ribelle contro tutte le ingiustizie che esistevano.

Dal sangue trentino dei miei avi ho ereditato la voglia di lavorare e di studiare. Dalla loro cultura ho imparato ad apprezzare il vino e la grappa. Da mio nonno Antonio ho imparato a rispettare sempre gli altri. Da mia nonna, Rosa Dotti, che era ostetrica, ho imparato ad aiutare sempre gli altri.

La vita mi ha insegnato che possiamo essere felici solo se pratichiamo la solidarietà.

Con questa coscienza di classe, superando la paura della dittatura, ho cominciato a occuparmi dei contadini poveri del nostro Stato, che iniziavano a lottare per ottenere terra da coltivare, organizzando le prime occupazioni di latifondi improduttivi, per attuare il diritto di lavorare la terra, seguendo l’insegnamento secondo cui la terra dovrebbe essere di chi ci lavora. Le prime occupazioni di massa, con la mobilitazione di centinaia di famiglie contadine, iniziarono nel settembre 1979 e non si sono mai fermate. Come risultato di questa lotta che veniva portata avanti in tutto il Paese, nel 1984 si decise di fondare il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (Mst) un movimento nazionale di contadini che lottavano per la riforma agraria.

Ho passato tutta la mia vita in questa militanza. Grazie alla caparbietà e alla volontà di lotta dei contadini, sono stati occupati più di cinquemila latifondi improduttivi, dando vita a insediamenti con quasi cinquecentomila famiglie che ne hanno beneficiato e oggi lavorano, studiano e organizzano una buona vita sul campo.

Sono successe tante cose in questi 40 anni di attività del Mst. Abbiamo perso molte vite, molti leader. Ho visto molti di noi arrestati. Abbiamo avuto sconfitte soprattutto quando il governo era di destra. Il nostro movimento è però cresciuto in dimensione e saggezza e abbiamo ottenuto molte vittorie e imparato molte cose.

Abbiamo imparato che la lotta per la terra non significa solo dividerla per permettere a tutti di lavorare ma che è necessario che la terra svolga la sua principale funzione sociale, ovvero produrre cibo sano per tutte le persone.

Abbiamo imparato che per essere un buon agricoltore bisogna anche essere un custode della natura, preservare la biodiversità, non usare pesticidi, prendersi cura dell’acqua e piantare alberi, sempre. Solo gli alberi possono salvarci dal cambiamento climatico e dalla distruzione del pianeta.

È per questo che organizziamo decine di scuole di agroecologia in Brasile e in America Latina.

Abbiamo imparato a essere tolleranti verso chi la pensa diversamente ma combattivi contro ogni forma di sfruttamento e oppressione.

Abbiamo imparato che solo la conoscenza libera veramente le persone. Ed è per questo che è necessario incoraggiare lo studio durante tutta la vita.

Abbiamo imparato che è necessario partecipare alla vita politica del nostro Paese, affinché la società sia più democratica e i governi siano più impegnati a tutelare gli interessi delle persone.

E in questo percorso mi sento un privilegiato. Perché grazie all’organizzazione dei contadini all’interno del Mst abbiamo contribuito alla nascita di “Via Campesina”, un movimento che riunisce contadini di più di cento Paesi, e a organizzare i primi Forum Sociali Mondiali (gli incontri annuali di movimenti sociali, Ong, reti ed esponenti della società civile, per riflettere sulla natura e sulle conseguenze della globalizzazione).

Nel 2014 siamo stati chiamati da Papa Francesco a organizzare un incontro globale dei movimenti popolari con la sua partecipazione, in un dialogo sui dilemmi dell’umanità e sui problemi dei lavoratori nel mondo.

Abbiamo ricevuto molti riconoscimenti, incluso nel 1991 il «Right Livelihood Award» (Premio al corretto sostentamento), definito il “Premio Nobel alternativo”, con la seguente motivazione: «...per il loro coraggioso impegno nell’ottenere terreni per i senza terra e aiutare queste persone a coltivarli in maniera sostenibile».

Dopo tanto tempo, adesso mi sento un brasiliano-trentino, di tutto il mondo. Perché sul nostro pianeta non ci sono stranieri. Siamo tutti uguali e fratelli della stessa casa comune: la terra.

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