NOBEL PER LA PACE AD ALES BALIATKI E AD ASSOCIAZIONI RUSSE E UCRAINE

 

Ci sarà pure del marcio in Danimarca, ma in Norvegia ancora leggono Petrarca. Non c’è altra spiegazione. Il Nobel per la Pace è stato assegnato per «l’impegno costante a favore dei valori umanistici, dell’antimilitarismo e dei principi del diritto». Gli ideali trecenteschi che puntavano all’equilibrio fra istinto e ragione sono stati rievocati dal Comitato di Oslo, capace di rivolgere lo sguardo su chi «da molti anni promuove il diritto di criticare il potere e di proteggere i diritti fondamentali dei cittadini» e «si è impegnato a fondo per documentare i crimini di guerra, le violazioni dei diritti umani e gli abusi». Un atteggiamento coraggioso che dimostra «l’importanza della società civile per la Pace e la democrazia». I destinatari del riconoscimento sono una persona, in carcere, e due organizzazioni: il dissidente bielorusso Ales Baliatki, fondatore dell’associazione Viasna, il gruppo per i diritti umani russo «Memorial Society» e quello ucraino «Center for civil liberties».

Quello per la Pace è l’unico Nobel che può essere conferito anche a delle organizzazioni e non solo alle singole persone. Dal 1901 ne sono stati conferiti 129, rendendo quello del 2022 il numero 130. Di solito, però, durante i conflitti, almeno quelli che coinvolgono in qualche modo i Paesi occidentali, non viene assegnato. In tutto è capitato 19 volte: 8 durante la prima guerra mondiale e nel primo dopoguerra, 5 durante la seconda e 6 a causa della guerra fredda tra il blocco occidentale e quello sovietico. Quest’anno, invece, è stato scelto di puntare il dito sul conflitto che sta infiammando un’area geografica ai confini della Vecchia Europa e su un alleato strettissimo di Putin, il presidente della Bielorussia Aljaksandr Lukašėnka, che non ammette alcun tipo di opposizione nel suo Paese.

Bialiatski, infatti, è stato uno dei promotori del movimento democratico sorto proprio in Bielorussia a metà degli anni Ottanta. Ha dedicato la sua vita a promuovere la democrazia e lo sviluppo pacifico della Nazione. Nel 1996 ha fondato Viasna, che significa Primavera, un nome spesso associato a un tentativo di rinascita culturale, politica o sociale. Alla fine del 2010, per esempio, ci fu quella araba, con manifestazioni in Egitto, Siria, Libia, Tunisia, Yemen, Algeria, Iraq, Bahrein, Giordania, Gibuti per citare solo alcuni Paesi. Sono passati oltre dieci anni, non se ne parla più, ma i regimi sono ancora quasi tutti lì. Come quello bielorusso, legato a doppio filo a Mosca.

L’organizzazione russa per i diritti umani «Memorial Society» e quella ucraina «Center for civil liberties»

Forti proteste si registrarono tra la popolazione proprio nel 1996, quando controversi emendamenti costituzionali conferirono a Lukašėnka poteri praticamente assoluti. In quel periodo Viasna ha fornito sostegno ai manifestanti arrestati e alle loro famiglie, per poi trasformarsi in un’organizzazione per i diritti umani di ampia portata, che ha documentato l’uso della tortura da parte delle autorità bielorusse nei confronti dei prigionieri politici. Il governo ha ripetutamente cercato di mettere a tacere Bialiatski, incarcerato una prima volta dal 2011 al 2014 e di nuovo nel 2020, a seguito delle manifestazioni per la democrazia che hanno attraversato l’intero Paese. Attualmente il Premio Nobel è detenuto in attesa di processo. E poi ci sono le organizzazioni che lottano per i diritti umani in Russia e in Ucraina. Certo la scelta può apparire scontata, ma non per questo meno importante. I diritti vanno difesi lì dove vengono calpestati, e se le violazioni sono sotto gli occhi di tutti è meglio: nessuno può dire di non sapere. Del resto l’impegno di queste associazioni è di molto precedente all’invasione russa dell’Ucraina. «Memorial society» è stata fondata nel 1987 da attivisti per i diritti umani dell’Unione sovietica, con l’obiettivo di ricordare le vittime del regime e fare i conti con i crimini del passato per evitare che si ripetano. L’idea non è nuova, ma è attuale.

Dopo il crollo dell’Urss, Memorial è cresciuta fino a diventare la più grande organizzazione per i diritti umani in Russia. È stata anche in prima linea nel combattere il militarismo, nella promozione dei diritti umani e di un sistema di governo basato sullo Stato di diritto. In particolare, durante le guerre cecene, ha raccolto e verificato informazioni sugli abusi e i crimini perpetrati ai danni della popolazione civile dalle forze russe e filorusse. Nel 2009, la direttrice della sezione di Memorial in Cecenia, Natalia Estemirova, è stata uccisa proprio a causa di questo lavoro.

«Memorial Society» è stata chiusa dalle autorità di Mosca che l’hanno bollata come un «agente straniero»

Raccontare quello che accade in un regime autocratico è sempre stato difficile, se non impossibile. La libertà di stampa è uno dei presidi della democrazia. La Russia non è una democrazia e dopo minacce, incarcerazioni e sparizioni Memorial è stata bollata come «agente straniero». Due anni fa le autorità hanno deciso la sua liquidazione forzata e la chiusura definitiva del centro di documentazione.

Più recente la nascita del «Center for civil liberties», fondato a Kyiv nel 2007, con l’obiettivo di promuovere i diritti umani e la democrazia in Ucraina. L’organizzazione ha preso posizione per rafforzare la società civile e fare pressione sulle autorità per sostenere il Paese non solo nel percorso di emancipazione dall’imperialismo russo, ma anche nella piena realizzazione del sistema democratico. Dopo l’invasione nel febbraio 2022, il Centro per le libertà civili si è impegnato per identificare e documentare i crimini di guerra russi contro la popolazione ucraina. In collaborazione con partner internazionali, sta svolgendo un ruolo fondamentale nell’identificazione dei colpevoli.

Ales Baliatki

Iscriviti alla nostra newsletter

Quando invii il modulo, controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione