UN SEMINARIO IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

 

Come si sta modificando l’interpretazione dei diritti umani nell’ambito del diritto internazionale? Di questo si è parlato il 21 settembre scorso alla Campana in un seminario tenuto in occasione della Giornata internazionale della Pace istituita nel 1981 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Sul Colle di Miravalle sono saliti Giuseppe Nesi, titolare della cattedra di Diritto Internazionale presso l’Università di Trento e componente eletto della Commissione del diritto internazionale dell’Onu, e Guido Raimondi, giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo dal 2010 al 2019 e presidente della stessa Corte dal 2015 al 2019. Proponiamo di seguito una sintesi dell’intervento del dottor Raimondi.

Quando nel 1981 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite decise di istituire una ricorrenza per commemorare e rafforzare gli ideali di Pace e non violenza, la data del 21 settembre fu scelta per il suo significato simbolico, in quanto essa coincide con l’inizio della sessione della stessa Assemblea generale delle Nazioni Unite. Questa coincidenza quindi rappresenta l’impegno delle nazioni del mondo a lavorare insieme per risolvere i conflitti e promuovere la Pace. Sullo sfondo vi è la fiducia sul ruolo benefico del diritto internazionale al servizio della Pace.

Viviamo attualmente un momento di crisi grave delle relazioni internazionali. La guerra in Ucraina, le tensioni intorno a Taiwan e moltissimi altri conflitti non risolti diffondono scetticismo sulla capacità del diritto internazionale e di quella che è stata la sua realizzazione più spettacolare all’indomani della seconda guerra mondiale, cioè la creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, di assolvere alla loro funzione ultima e più importante, quella appunto della preservazione e della promozione della Pace.

La Carta delle Nazioni Unite, che molti considerano come la costituzione della comunità internazionale, entrata in vigore il 24 ottobre 1945, è il primo atto giuridico internazionale della storia che apre al riconoscimento giuridico dei diritti della persona al di là e al di sopra dei confini dello Stato. Al comma 3 dell’articolo 1 della Carta si può leggere che tra gli scopi delle Nazioni Unite vi è quello di promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione.

La Carta delle Nazioni Unite apre al riconoscimento giuridico dei diritti della persona al di sopra dei confini dello Stato

In effetti, all’indomani della seconda guerra mondiale è iniziata l’era delle Nazioni Unite, ma anche quella dei diritti umani e quindi l’epoca di una trasformazione del diritto internazionale nel senso di una sua sempre maggiore attenzione alla persona umana e alla tutela della sua dignità. In questo senso si è parlato di un processo di “umanizzazione” del diritto internazionale. Si parla, nella scia di un famoso libro di Louis Henkin, di un’Era dei diritti umani.

Su questa spinta ideale, a pochi anni di distanza dall’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite, viene proclamata a Parigi, il 10 dicembre 1948, la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo. Con la Dichiarazione la comunità internazionale afferma, al suo più alto livello, quello dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che non potrà mai più darsi che il modo nel quale un sovrano territoriale tratta le persone assoggettate alla sua giurisdizione sia da considerare questione puramente interna, alla quale applicare il principio di non ingerenza negli affari altrui.

Il discorso sui diritti umani occupa dunque uno spazio importante nell’ambito delle relazioni internazionali. È un fatto però che, nonostante il complesso di strumenti giuridici a tutela dei diritti umani redatti e entrati in vigore sulla scia della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, le violazioni siano purtroppo diffusissime e, ed è questo il punto che viene sottolineato, con conseguenze piuttosto scarse sul piano sanzionatorio.

Qui occorre fare una distinzione tra il livello universale e quello regionale. L’Europa, in questo quadro, è un’isola felice. Il sistema europeo di protezione dei diritti umani, basato sulla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, con tutte le sue difficoltà, è un modello di efficacia. Le sentenze della Corte di Strasburgo sono vincolanti per gli Stati contraenti, e vengono normalmente fedelmente eseguite.

A livello universale, però, è sotto gli occhi di tutti che le violazioni sono tantissime e moltissime restano impunite, come emerge dai rapporti annuali di serie e affidabili organizzazioni non governative, come Human Rights Watch. Vi è perciò il rischio, si dice, della “sindrome della finestra rotta”. Il riferimento è alla teoria sociologica posta a fondamento della politica di tolleranza zero perseguita da Rudolph Giuliani come sindaco di New York.

Il modo nel quale un sovrano territoriale tratta le persone assoggettate alla sua giurisdizione non è una questione puramente interna

La teoria “della finestra rotta” afferma che mantenere e controllare ambienti urbani reprimendo i piccoli reati, gli atti vandalici, la deturpazione dei luoghi, il bere in pubblico, la sosta selvaggia o l’evasione nel pagamento di parcheggi, mezzi pubblici o pedaggi, contribuisce a creare un clima di ordine e legalità e riduce il rischio di crimini più gravi. Ad esempio l’esistenza di una “finestra rotta” (da cui il nome della teoria) potrebbe generare fenomeni di emulazione, portando qualcun altro a rompere un lampione o un idrante, dando così inizio a una spirale di degrado urbano e sociale. In sostanza, si dice, la scarsità di conseguenze sanzionatorie delle violazioni massicce dei diritti conduce a una banalizzazione degli stessi diritti, per cui l’insistenza sulla loro valenza “giuridica” nel linguaggio delle relazioni internazionali potrebbe nuocere più che giovare al diritto internazionale.

Secondo una corrente di pensiero che si sta sviluppando soprattutto negli Stati Uniti, i diritti umani si sono estesi a tutto campo nel diritto internazionale, a partire dagli anni ’80, e ne hanno mutato le caratteristiche più importanti, incidendo su temi fondamentali come la definizione di sovranità e la teoria delle fonti. A parere di chi sostiene questa impostazione, quella che è stata definita l’«era dei diritti umani» sarebbe finita, almeno per il momento. Il movimento per i diritti umani sarebbe in declino. Ciò per una serie di ragioni, come il numero crescente di governi autoritari, le difficoltà di funzionamento dell’architettura istituzionale posta a tutela dei diritti umani, l’influenza sempre maggiore di Cina e Russia sul contenuto del diritto internazionale e la risorgenza di nazionalismi e populismi. Si sostiene che il movimento per i diritti umani avrebbe a causa della sua espansione modificato il diritto internazionale in modo tale da renderlo più debole, meno adatto a incoraggiare gli Stati a seguirlo, e da aumentare la probabilità che esso generi frizioni e conflitti tra gli Stati.

Si osserva che l’architettura applicativa dei diritti umani, ciò che si indica come enforcement architecture, è costruita concettualmente sulla ridefinizione del concetto di sovranità, che oggi viene intesa come basata su di una responsabilità verso gli individui e i loro diritti umani universalmente riconosciuti. Questa ridefinizione avrebbe fornito le basi concettuali per imporre l’applicazione coercitiva di una varietà di norme in materia di diritti umani attraverso corti straniere, secessione, quindi modifiche territoriali, e anche l’uso della forza. Dal punto di vista istituzionale, si nota che tutti i settori delle Nazioni Unite hanno progressivamente sempre di più focalizzato la loro azione sui diritti umani considerandola centrale per la loro missione, compreso il Consiglio di sicurezza, il cui compito principale dovrebbe essere, invece, quella della tutela della Pace e della sicurezza internazionali. Si sostiene da parte di questa corrente di pensiero da una parte che manca un impegno serio da parte degli Stati verso l’applicazione delle norme sui diritti umani e, d’altra parte, che sarebbe diffusa la percezione che gli interventi a difesa dei diritti umani siano stati selettivi e politici, e che abbiano avuto un costo per le pacifiche relazioni tra gli Stati.

Ci si chiede perciò se non sia opportuno avviarsi verso una stagione “post diritti umani” che, prendendo atto del declino del movimento per i diritti umani, si focalizzi sul rafforzamento di un nucleo forte di norme di diritto internazionale che siano orientate a proteggere la Pace e la sicurezza piuttosto che i diritti umani. Secondo questa impostazione i diritti umani dovrebbero continuare a essere tutelati da strumenti giuridicamente vincolanti a livello regionale e a livello nazionale, mentre a livello globale sarebbe opportuno privilegiare strumenti di soft law.

Al termine di questa carrellata di argomenti volti a dimostrare da una parte che l’influenza del movimento dei diritti umani sul diritto internazionale e sulle sue funzioni classiche è in declino e, d’altra parte, che questi sviluppi non sono necessariamente da apprezzare negativamente, ci si chiede perché l’irrigazione del diritto internazionale da parte delle dottrine dei diritti umani avrebbe condotto all’indebolimento delle sue capacità di provvedere alla sua funzione più importante, quella della preservazione della Pace e della sicurezza internazionali?

Dal punto di vista tecnico si potrebbe avanzare l’obiezione secondo la quale nella tesi sarebbe insita una contraddizione. Se si sostiene che proprio nei settori nei quali l’influenza della dottrina dei diritti umani sarebbe stata più “pericolosa” per la capacità del diritto internazionale di provvedere alla Pace e alla sicurezza delle nazioni, le dottrine ispirate dal movimento dei diritti umani non avrebbero avuto successo, allora dov’è il pericolo? Evidentemente il diritto internazionale ha in sé gli anticorpi necessari per reagire a una dose eccessiva di diritti dell’Uomo.

Le violazioni sono diffusissime con conseguenze piuttosto scarse sul piano sanzionatorio

Diciamo che questa corrente di pensiero “scettica” sulla auspicabilità di una sempre maggiore influenza dei diritti umani sul diritto internazionale generale ha avuto almeno due meriti.

Da una parte sottolineare che il movimento dei diritti umani è stato accompagnato in troppe occasioni da una retorica trionfalistica ed enfatica che viene giustamente denunciata come nociva per una serena e obiettiva analisi giuridica, che è la sola a garantire veramente tutti gli attori: gli individui che devono essere protetti, ma anche gli Stati, che hanno diritto a che le loro responsabilità in materia di tutela dei diritti fondamentali siano quelle stabilite dal diritto e non altre.

D’altra parte, è giusto sottolineare il rischio per la Pace e la sicurezza di argomenti basati sui diritti umani che vengono però utilizzati selettivamente e per fini esclusivamente politici.

In definitiva, però, non credo che queste riflessioni, ci possano distogliere dal cammino, iniziato con la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948, verso una sempre maggiore umanizzazione del diritto internazionale. Un ritorno alla situazione precedente la seconda guerra mondiale sarebbe, esso sì, una minaccia alla Pace.

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