Nei dizionari della lingua italiana si definisce come acronimo «il nome formato unendo le lettere o sillabe iniziali di più parole». Nel linguaggio moderno l’utilizzo di tali formule (spesso per ragioni di speditezza, a volte - si ha quasi l’impressione - per impressionare l’interlocutore) si fa sempre più frequente e a tale constatazione non fa certamente eccezione il settore delle relazioni internazionali.

Onu, Nato, Ocse, Osce rappresentano, solo per citarne alcuni, gli acronimi di importanti organizzazioni multilaterali, delle quali - in tutta onestà - si avrebbe a volte più di una difficoltà a ricostruire il nome per intero.

Negli ultimi tempi, uno degli acronimi più citati in questo campo è Brics, a differenza di altri di facile interpretazione essendo formato dalle iniziali di cinque (grandi) Paesi, precisamente Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Si tratta di un foro informale (vale a dire non basato su specifici accordi) di Stati, che dal 2010 si riunisce annualmente a livello di Presidenti e di Capi di Governo per un’analisi congiunta delle principali tematiche politiche, economiche e sociali dell’attualità.

Un’aggregazione di non trascurabile rilevanza, se si tiene conto del fatto che oggi è rappresentativa del 41 per cento della popolazione terrestre e del 26 per cento del Prodotto interno lordo (Pil) globale.

I Brics, definiti dal Presidente brasiliano Lula «il club di un possibile nuovo mondo», hanno tenuto recentemente a Johannesburg il 15o Vertice della loro storia, con la rimarcata assenza del Presidente russo Putin, trattenuto in patria da preoccupazioni di ordine giudiziario (sul suo capo pende, come noto, un mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale dell’Aja). Dall’incontro è uscita confermata la chiara leadership esercitatavi dalla Cina (per dare un’idea di tale superiorità, basti sapere che Pechino detiene il 69 per cento del commercio complessivo fra i 5 membri) e il suo fermo proposito di connotare il gruppo sempre più in chiave anti-statunitense e anti-occidentale. Dall’inizio del 2022 anche il conflitto russo-ucraino ha contribuito a fornire un’ulteriore accelerazione a tale finalità, se si riflette sul fatto che degli altri quattro Paesi-membri nessuno ha inteso aderire alle sanzioni economico-finanziarie (per non parlare delle militari) disposte da Washington e Bruxelles nei confronti di Mosca.

Al di là delle affermazioni ricorrenti in ambito Brics, non a caso riemerse anche a Johannesburg, di voler promuovere una profonda trasformazione delle istituzioni finanziarie internazionali (Banca mondiale e Fondo monetario) completate dalla “destituzione” del dollaro dal ruolo di valuta primaria di riferimento, il dato di maggior peso politico emerso in Sudafrica è stato costituito dalla notizia della prossima apertura del “blocco” a nuovi aderenti. Anche in questo è facilmente riconoscibile il disegno di Xi Jinping di utilizzare ai propri fini il legittimo interesse del cosiddetto global south a una valorizzazione del multipolarismo, ritenuto dalle nazioni emergenti il sistema di relazioni internazionali più confacente ai propri interessi e aspirazioni.

All’interno di una lista più ampia (sarebbero infatti ben 18 gli Stati di potenziale adesione), Arabia Saudita, Emirati Arabi, Argentina, Etiopia, Iran ed Egitto sono stati designati quali candidati alla prima tornata di allargamento, da completarsi entro il 2024. In conseguenza di tale evoluzione, la consistenza del gruppo appare destinata a lievitare e, in prospettiva, a confrontarsi criticamente con la principale entità di riferimento “occidentale”, il G7. Quest’ultimo continuerebbe, almeno nel breve termine, a mantenersi superiore in termini di ricchezza prodotta, risultando però ulteriormente perdente sotto il profilo della percentuale di popolazione rappresentata.

A fronte di tali dati, appare corretto sottolineare come il mega-progetto sopra descritto trovi un’opposizione non trascurabile anche all’interno dello stesso Brics. Paesi come il Brasile e il Sudafrica, attualmente esponenti, con carattere di esclusività, delle istanze di interi continenti, non vedrebbero certamente di buon occhio, anche per motivi di prestigio, l’ingresso “in famiglia” di temibili concorrenti regionali quali, rispettivamente, Argentina ed Egitto. Inoltre, un’apertura non sufficientemente ponderata a nuovi membri diluirebbe vieppiù un livello di omogeneità che già all’interno dell’attuale formato “a 5” non si può considerare soddisfacente.

Se Cina e Russia sono infatti classificabili come autocrazie ostili a Stati Uniti ed Europa, Brasile, India e Sudafrica si fanno (giustamente) vanto di sistemi democratici interni piuttosto evoluti, nonché di relazioni di normale collaborazione con il campo occidentale. In ambito economico, acuisce la situazione di contraddittorietà il fatto che il Pil pro capite di un cittadino indiano rappresenti solo la quinta parte di quello di un abitante di Cina e Russia, nonostante il tasso di crescita registrato dall’economia di New Delhi sia decisamente superiore a quello di tutti gli altri membri.

Sulla base di tali considerazioni, la previsione degli addetti ai lavori va nel senso di ritenere probabile il processo di allargamento dei Brics, ma in tempi meno rapidi e con modalità meno inclusive di quelle ipotizzate da Pechino. Contribuisce a tale valutazione prudenziale anche l’interrogativo collegato alla futura funzione del G20, il foro in cui convivono, pur non senza difficoltà, sia le più ricche nazioni industrializzate che le principali realtà emergenti. Nel recentissimo Vertice G20 di New Delhi, disertato sia da Putin (per le già ricordate vicende giudiziarie) che da Xi Jinping (per una puerile “doppia ripicca” nei confronti di Modi e di Biden) si sono innegabilmente manifestati i limiti di quell’organizzazione, in primis in materia di valutazione del conflitto russo-ucraino. Al tempo stesso è lecito dubitare che la sua eventuale sostituzione con un “Brics Plus” di accresciuta consistenza numerica, integrato da Paesi-membri privi di posizioni allineate nonché di un’agenda comune, si traduca in un effettivo arricchimento e in un riconosciuto consolidamento dell’odierno sistema multilaterale

E, ritornando al punto iniziale, con quale acronimo sarebbe ribattezzabile l’odierno Brics nell’eventualità di un raddoppio e, in prospettiva, di una triplicazione dei suoi componenti? Una sfida linguistica che rileva dell’impossibile e che, da sola, potrebbe far riflettere sull’opportunità del proposito.

 

Il Reggente, Marco Marsilli

Mappa degli stati membri BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e altri membri candidati BRICS)

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