PER CHI SUONA LA CAMPANA - P1

 

Dopo, a cose fatte, sembra tutto naturale, quasi scontato. Ma prima, semplicemente non ci aveva pensato nessuno. Questa rubrica vuole raccontare come le idea diventano realtà. La creatività che ci vuole, l’impegno che bisogna metterci, la fatica per convincere tutti, le difficoltà che si incontrano, gli errori che si commettono e la soddisfazione di sentire la Campana dei Caduti suonare per la prima volta. Ma non finisce lì, perché da quel momento inizia la storia che porterà fino a noi, alla Maria Dolens che conosciamo, ai rapporti con le Nazioni Unite e con il Consiglio d’Europa, ai Reggenti che si sono avvicendati, alla passione che ci mette ogni giorno chi lavora, allo stupore dei visitatori quando sentono la potenza emotiva del primo rintocco, e a quel Viale delle bandiere che continuamente si arricchisce di un altro Paese che ci crede, che aderisce al Protocollo di Pace perché non c’è alcuna alternativa al dialogo.

Il primo rintocco della Campana più grande del mondo che suona a distesa si è udito il 4 ottobre del 1925. Potrebbe fermarsi tutto a quel giorno e sarebbe già una bella storia. Ma c’è da capire che cosa abbia significato quell’evento per i decenni a seguire, se i semi lanciati abbiano dato buoni frutti. Ma soprattutto comprendere se è ancora attuale l’idea di un prete di provincia che subito dopo la Grande Guerra decide di creare un simbolo di Pace mondiale fondendo assieme cannoni usati da eserciti che hanno combattuto uno contro l’altro. Ci aiuta oggi? È ancora utile per capire il mondo che ci circonda? Fino al centenario, che si celebrerà nel 2025, proveremo a rispondere a queste domande, ripercorreremo il cammino di un ideale salendo sulle spalle di persone spesso molto decise, a volte testarde, mai disponibili a compromessi sui valori fondanti della Pace. Lo faremo anche grazie a scritti di storici e intellettuali che hanno approfondito l’argomento, e partiremo dall’inizio, dal tramonto del 5 maggio 1921, quando don Antonio Rossaro, ebbe l’idea che lo portò qualche anno dopo ad assistere al primo rintocco di Maria Dolens. Come avvenne lo racconta lui stesso, con lo pseudonimo di Timo del Leno, personaggio di fantasia che quel giorno si trovava sotto l’Arco della Pace a Milano. Il tono è enfatico, fiabesco, forse un po’ ingenuo. Ma almeno questo a un visionario bisogna concederlo.

«Era il tramonto del 5 maggio 1921, ed egli [Timo del Leno] si era indugiato a leggere in un giornale, come in quell’ora, per tutta la Francia, migliaia di cannoni avrebbero celebrato il centenario della morte di Napoleone. Sotto la volta dello storico Arco, stava assorto col pensiero nello sfolgorio di quella epopea, quando ad un tratto, alzando lo sguardo ad un tramonto in fiamma, così bello verso il Resegone, fu sorpreso dal suono dell’Ave Maria di un vicino Convento. Il suo cuore si trovò subito travolto in un tumulto di armi e di canti claustrali, fra due mondi cozzantisi fra loro, quello della Guerra e quello della Pace. Lontano, i rombi del cannone si dileguavano nell’immensità dell’orizzonte; vicino, lo squillo della campanella si sperdeva nelle misteriose regioni del cuore. E l’idea della Pace vinse ed esultò in un festoso garrire di rondini, carotanti sotto un blando rifiorir di stelle».

Al di là dello stile immaginifico, scriveva lo storico Armando Vadagnini commentando la ricostruzione, «si può cogliere nell’autore l’intuizione di ciò che era lo spirito dell’epoca successiva alla fine del conflitto: da una parte la memoria di chi era rimasto, non placata ancora dopo una guerra così feroce; dall’altra il desiderio profondo di trovare la pacificazione dei cuori prima che quella diplomatica attraverso i trattati e i compromessi politici. Da qui il sogno che il prete roveretano accarezzò per giorni e giorni: creare un “monumento che non fosse la solita fredda allegoria tradotta in bronzo o in marmo, ma che, viva voce, risuonasse e scuotesse i cuori nella rivendicazione di tanti eroi scomparsi, di tante vittime senza conforto di lacrime e di fiori”.

Era già la premessa che porterà don Rossaro a realizzare la Campana dei Caduti di Rovereto, per la quale aveva già scelto come madrina la Regina Madre Margherita di Savoia».

La Campana, dunque, nasceva su solide basi territoriali, interpretava creativamente la lunga storia che il Trentino aveva alle spalle e trovava linfa vitale nell’atmosfera fatta di forti gesti di solidarietà di cui Rovereto era ed è teatro. «Ma il suo progetto - continua Vadagnini - si inseriva anche in una visione molto più ampia che abbracciava tutta l’umanità, nel contrasto tra guerra e Pace da cui ogni epoca storica è segnata. I presupposti morali sui quali si fondava quel progetto erano innanzi tutto quello di ricordare le vittime della guerra, coloro che erano caduti per nobili ideali, e in secondo luogo quello di indurre l’umanità a cercare le vie della Pace come base per una ripresa della vita civile e del progresso umano. La memoria del passato non doveva essere cancellata, ma non poteva nemmeno servire a rinfocolare negli animi inimicizie ereditarie, dovute a ragioni storiche. La Campana si ispirava allo spirito francescano, che non significava un generico irenismo, ma una concreta visione dell’Uomo piagato dalle sofferenze della guerra, che chiedeva la pacificazione dei cuori e il ritorno alla collaborazione per rendere più umana “l’aiuola che ci fa tanto feroci”.

Purtroppo di lì a pochi lustri il mondo ricadde nuovamente nello stesso errore. La seconda guerra mondiale riportò tutto indietro nel tempo. La tragedia si ripeteva e chi parlava di Pace sembrava solo un ingenuo. Ma le idee, quando sono forti, camminano sotto terra come fiumi carsici. E quella di don Rossaro continuò a scavare nell’animo delle persone, a farsi spazio tra le diffidenze. Era solo questione di tempo prima che riaffiorasse.

 

(continua)

Fusione della prima Campana il 30 ottobre 1924 presso la Fonderia Luigi Colbacchini e figli di Trento (Archivio della Fondazione Campana dei Caduti)

Iscriviti alla nostra newsletter

Quando invii il modulo, controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione