CONFERENZA DI ALLEN LYNCH SULLA GUERRA IN UCRAINA

 

Il 5 dicembre scorso al Colle di Miravalle, l’Associazione Trentini nel mondo e la Fondazione Campana dei Caduti, hanno organizzato una conferenza sul tema «Guerra in Ucraina e in Medio Oriente: il mondo è in pericolo?». L’incontro è stato moderato dal giornalista e direttore dell’«Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo» Raffaele Crocco. Dopo l’intervento del Reggente, Marco Marsilli, e l’introduzione del presidente dell’Associazione Trentini nel mondo, Armando Maistri, la situazione geopolitica attuale è stata analizzata da Allen Charles Lynch, professore emerito in scienze politiche della Virginia University (Usa) e professore associato presso la Luiss. Proponiamo di seguito stralci dalla sua relazione.

Sono passati più di venti mesi dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, che è diventato, di fatto, anche una guerra per procura tra Mosca e quello che Putin chiama «l’Occidente collettivo». Dopo venti mesi dallo scoppio della prima guerra mondiale, tutte le grandi potenze europee, compreso l’impero Ottomano, erano intatte. Gli Stati Uniti dovevano ancora entrare in guerra. I tedeschi, assieme all’Austria-Ungheria e alla Turchia ottomana, cercavano di stabilire la loro egemonia in Europa sconfiggendo Russia e Francia; i francesi, assieme a inglesi e russi, cercavano di rivendicare l’Alsazia-Lorena e, nel frattempo, di distruggere per sempre la capacità della Germania di minacciare la Francia; i russi volevano espandersi ancora una volta a spese degli ottomani e rivendicavano Costantinopoli; gli italiani, assieme a francesi, inglesi e russi, cercavano di annettere le terre irredente nel Trentino, nell’Alto Adige e lungo l’Adriatico; gli statunitensi, sotto la presidenza di Woodrow Wilson, volevano mediare una “Pace senza vittoria”.

Sappiamo tutti come finì la storia: invece di una “Pace senza vittoria”, ci fu “vittoria senza Pace”. Due anni e mezzo dopo la Germania non accettava la legittimità della sconfitta; gli imperi austro-ungarico, russo e ottomano si stavano disintegrando; i francesi e gli inglesi pagavano un prezzo terribile per la loro “vittoria”, tanto che l’inizio della fine dei loro imperi può essere datato nel novembre 1918; un’Italia penalizzata al tavolo delle conferenze vide un’ondata di nazionalismo militante che non può essere separata dal trionfo del fascismo nel 1922; il popolo statunitense bocciò decisamente il piano del presidente Wilson per una Società delle Nazioni nelle elezioni nazionali del 1920, provocando un fatidico ritiro degli Stati Uniti dalle questioni di sicurezza europee.

Se nel giugno 1916 i leader europei avessero saputo tutto questo quale prezzo avrebbero pagato per evitare un simile destino? Ma non lo sapevano e, invece di riconoscere la propria ignoranza e porre fine alla guerra, hanno scommesso tutto sul “piano a”. Non esisteva un “piano b”.

Prendiamo un secondo esempio: la guerra di Corea. Dopo 11 mesi di brutali combattimenti, le linee si stabilizzarono molto vicino al confine prebellico, il trentottesimo parallelo. Ma la guerra, che divenne una guerra per procura tra l’Unione Sovietica e la Cina comunista, da un lato, e gli Stati Uniti e i suoi alleati, dall’altro, continuò per più di due anni, durante i quali le linee praticamente non cambiarono. Quanti degli oltre un milione e duecentomila morti in combattimento avrebbero potuto essere evitati se la guerra fosse finita due anni prima? Quante delle oltre 1 milione di vittime civili nella Corea del Nord e del Sud avrebbero potuto essere evitate?

L’armistizio che concluse la guerra di Corea non fu un trattato di Pace e lasciò tutte le parti ben lontane dai loro obiettivi massimi. Ma chi direbbe oggi che una continuazione indefinita di quella guerra sarebbe stata preferibile alla Pace altamente imperfetta che prevale nella penisola coreana dal luglio 1953?

Russia e Ucraina si trovano in posizioni analoghe a quelle dei leader europei nel giugno 1916 e dei “prìncipi” della guerra fredda nel giugno 1951: nessuno ha ottenuto i risultati che si prefiggeva e le prospettive di raggiungerli nel prossimo futuro appaiono remote. Ciononostante, sia Mosca, sia Kiev e i suoi alleati, restano impegnati in una guerra tesa a ottenere gli obiettivi massimi: per Mosca conquistare e mantenere quanta più Ucraina possibile nella speranza di innescare alla fine un cambio di regime nel Paese confinante. Per Kiev, espellere i soldati di Mosca da tutto il territorio, inclusa la penisola di Crimea.

Se prendiamo in parola i leader di Kiev, qualsiasi cosa inferiore alla completa espulsione delle truppe russe da tutta l’Ucraina sarebbe una sconfitta. Tuttavia è già fallito il piano di guerra iniziale russo che prevedeva l’occupazione della capitale nemica. Quindi si potrebbe dire che Kiev ha ottenuto una vittoria importante. Inoltre l’esercito ucraino è riuscito a costringere i russi a ritirare la flotta dalla Crimea. Questo garantisce all’Ucraina la possibilità di esportare grano e altri prodotti da Odessa al mondo. Ma per quanto tempo il Paese potrà sopportare l’alto numero di morti in combattimento, che tra l’altro è un segreto di Stato?

E per la Russia quale potrebbe essere una vittoria accettabile? Putin potrebbe ripensare all’esperienza di suo nonno Spiridon, che divenne il cuoco personale di Vladimir Lenin. Il nonno di Putin, che l’attuale presidente conobbe fino all’età di tredici anni, fu testimone del crollo dell’esercito russo nel 1917. Questo fu il fattore scatenante per la successiva presa del potere da parte dei comunisti, la disintegrazione dell’impero e la guerra civile che consumò la Russia tra il 1918 e il 1920. In poche parole, le autorità di Mosca continuarono a portare avanti una guerra che non potevano vincere, non potevano finanziare e non potevano amministrare logisticamente. Questo ha condotto al disastro.

Tornando all’oggi, si consideri che sia Kiev sia Mosca hanno le proprie “narrazioni” che sostengono la guerra. Per Kiev e per i suoi sostenitori occidentali, l’Ucraina è il Davide aggredito dal Golia russo. Secondo Mosca, invece, è il Davide russo a essere attaccato, attraverso una guerra per procura, dall’«Occidente collettivo».

A mio giudizio la Russia non accetterà mai una “sconfitta” in Ucraina. Quindi, invece di riesaminare il corso della politica che ha portato alla debacle, Mosca incolperebbe l’Occidente per il suo destino e proverebbe, come la Germania dopo il 1918, a reagire non appena possibile.

Allo stesso modo, il governo Zelensky non può accettare nulla di meno che una vittoria totale senza commettere un suicidio politico. E il presidente sembra “in ostaggio” dell’ala più radicale degli etno-nazionalisti ucraini, il cui potere è comprensibilmente aumentato nel corso della guerra.

In sintesi ci troviamo di fronte alla prospettiva di un conflitto di durata indefinita. Si sono accumulati odi che dureranno generazioni. E quel che è peggio, troppo spesso le parti sembrano credere che non solo la sconfitta ma la “scomparsa” dell’altro sia la condizione minima per una Pace accettabile.

Così come accade anche nel conflitto israelo-palestinese, ci troviamo davanti alla prospettiva di un conflitto con obiettivi irraggiungibili, che trasformerà la politica estera e la politica interna di tutti i Paesi interessati, compresi gli alleati dell’Ucraina.

Esistono però una serie di strumenti diplomatici che potrebbero essere sfruttati per porre fine a questa guerra, fermo restando che un accordo dovrà essere negoziato in buona fede.

In primo luogo Russia e Ucraina devono concordare un cessate il fuoco immediato, globale e indefinito in attesa del ritiro delle truppe di Mosca. I soldati ucraini rimarrebbero sul posto. La linea del cessate il fuoco provvisorio può essere pattugliata e monitorata da osservatori delle Nazioni Unite.

L’accordo potrebbe incorporare i seguenti elementi:

  1. L’Ucraina accetta qualunque status vogliano gli elettori in Crimea e in Oriente, purché le elezioni si svolgano sotto il controllo delle Nazioni Unite.
  2. Ucraina e Russia concordano una zona smilitarizzata di circa 100 chilometri lungo ciascun lato del confine.
  3. L’Ucraina accetta la neutralità fintanto che la Russia rispetta le condizioni della zona smilitarizzata.
  4. Usa e Nato concordano di non schierare alcune classi di armi d’attacco in Ucraina.
  5. Una volta che le truppe russe si saranno ritirate dall’Ucraina, l’Occidente e la Russia revocheranno tutte le sanzioni economiche e finanziarie in vigore dall’annessione russa della Crimea nel 2014.
  6. Nel frattempo verranno inviati osservatori delle Nazioni Unite per monitorare i corridoi umanitari.
  7. Ci saranno finanziamenti delle Nazioni Unite per la ricostruzione in Ucraina.

In assenza della volontà politica di Russia, Ucraina e Stati Uniti di esplorare tali termini di soluzione, la prospettiva è quella di una guerra per procura a tempo indeterminato tra Russia e Nato durante la quale l’Ucraina verrebbe progressivamente distrutta, mentre l’Alleanza Atlantica e Mosca manterrebbero un rischio non trascurabile di inasprimento del conflitto, fino alla guerra diretta. In questo caso l’Europa avrebbe in perpetuo ai propri confini un nuovo conflitto sullo modello arabo-israeliano.

Un momento della conferenza

Il professor Allen Charles Lynch con il Vicereggente della Fondazione, Lorenzo Saiani

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