La nostra analisi politica si concentra questo mese su un Paese asiatico, il Giappone, che ha da qualche tempo ritrovato una più che legittima collocazione centrale nel contesto internazionale, dopo un periodo piuttosto prolungato di “appannamento”.

Giunge, da ultimo, a conferma di tale “rinascita” il recentissimo Vertice del G7, svoltosi per l’appunto sotto la Presidenza nipponica nella città-martire di Hiroshima e coronato, per unanime opinione dei partecipanti, da pieno successo. In primo luogo per le posizioni di ferma condanna della Federazione Russa e di incondizionato appoggio al presidente Zelensky e al governo ucraino emerse a conclusione del summit. In secondo, per la decisione del premier Kishida di estendere l’invito, oltre che ai membri di diritto, anche a qualificati rappresentanti dell’area indo-asiatica, quali i presidenti di Vietnam, Corea del Sud e Australia e i presidenti di turno dell’Associazione delle Nazioni del sud-est asiatico (Asean) e del Foro delle Isole del Pacifico.

Da tale marcata politica di coinvolgimento emerge evidente la volontà della attuale dirigenza giapponese di rafforzare i rapporti esistenti con i Paesi dell’area in grado di costituire fattori di rassicurazione rispetto alle due principali fonti di minaccia percepite da Tokyo.

Le loro origini sono facilmente identificabili: la Repubblica popolare cinese (Rpc), responsabile al momento della “crisi taiwanese”, con centinaia di sconfinamenti aerei e marittimi lo scorso anno, e la Corea del Nord, esecutrice di una dissennata politica di test missilistici attuata dall’imprevedibile leader Kim Jong-un.

In effetti l’aspetto securitario occupa un posto di rilievo nell’agenda politica del Primo Ministro Fumio Kishida, capo del Governo (oltre che presidente dell’assai influente Partito Liberal-Democratico) dall’ottobre 2021, dopo aver rivestito gli incarichi di ministro degli Esteri e della Difesa. Alla promessa elettorale di garantire «la totale protezione di tutti i cittadini», egli ha inteso dare concreto seguito, da un lato attraverso una impressionante sequenza di contatti internazionali (19 le visite effettuate all’estero in appena 18 mesi di mandato), dall’altro promuovendo la revisione di principi tanto profondamente radicati nella società nipponica da sembrare intoccabili. Primo fra essi, la riforma della «Strategia nazionale di difesa», rimuovendo il sin qui sacrosanto principio della sua esclusiva applicazione al territorio patrio, per autorizzarne l’impiego, qualora richiesto dalle circostanze, anche al di fuori dei confini nazionali. In parallelo, funzionale alle accresciute modalità di impiego e area di manovra è risultato il raddoppio (dall’1 al 2% ) della quota di Pil destinata alle esigenze della difesa. Anche per il fatto di avere facilitato la fornitura di equipaggiamenti militari (esclusi, però, i sistemi d’arma) alle Forze armate di Kiev, la nuova strategia ha definitivamente consolidato il rapporto con gli Stati Uniti, giunti a garantire al loro alleato, in caso di minaccia di aggressione, la fondamentale arma della deterrenza nucleare.

Al compianto Premier Shinzō Abe (inventore della cosiddetta Abenomics, vittima lo scorso anno di un attentato a opera di uno squilibrato) si deve in buona parte la fase particolarmente felice attraversata dall’economia nipponica (per dimensioni la terza del pianeta), con tassi di crescita destinati presto a sopravanzare, nelle previsioni degli esperti, quelli di Stati Uniti e Cina, e con indici finanziari ineguagliati negli ultimi 30 anni. Se si considera la situazione esistente a cavallo del nuovo millennio (crescita anemica, inflazione galoppante, depressione dei mercati, modesta incidenza sul volume delle transazioni internazionali), non si può non ammirare tale rapida evoluzione. E, come nel caso di qualsiasi Paese, il consolidamento degli indicatori economici e la maggiore assertività in campo politico sono fattori che, interagendo fra di loro, creano un importante effetto moltiplicatore sull’autostima di una intera società.

In un quadro incoraggiante per il futuro del Sol Levante, l’incognita maggiore è, come sopra accennato, rappresentata dalla Rpc, l’ingombrante vicino forte di una popolazione di quasi 1,5 miliardi di abitanti, di una superficie vicina ai 10 milioni di chilometri quadrati e del secondo Pil mondiale, superiore di 4 volte a quello giapponese. Dopo la storica visita a Pechino (anno di grazia 1972) del presidente Nixon e la collegata ufficializzazione della cosiddetta One China policy, è noto come nel corso degli ultimi decenni da parte di Europa e Stati Uniti si sia andato intensificando il processo di avvicinamento con Pechino, sulla spinta sia della impressionante crescita economica, finanziaria e commerciale della Rpc, sia di una generale aspettativa circa un graduale miglioramento degli standard di democrazia e di rispetto dei diritti dell’Uomo colà vigenti.

Tale impostazione aveva, piuttosto affrettatamente, portato l’Occidente a ridimensionare la rilevanza geo-strategica del Giappone all’interno dell’area geografica di appartenenza. A distanza di tempo, occorre riconoscere come nella speciale classifica degli “Alleati di fiducia”, Tokyo si sia presa una indiscutibile rivincita, definitivamente sancita, oltre che dall’assenza di riforme politiche interne, dal chiarissimo rifiuto del presidente Xi Jinping di condannare, come hanno fatto Stati Uniti e Unione Europea, l’aggressione russa all’Ucraina e gli insensati disegni espansionistici del “nuovo Zar”.

Di conseguenza, ha fornito oggetto di immediata valorizzazione la presenza del Giappone all’interno di alleanze militari e di sicurezza d’area, quali il Quad (con Stati Uniti, Australia e India) e l’Aukus (al momento integrato solo da Stati Uniti, Regno Unito e Australia) ma al quale Tokyo sta ugualmente progettando di aderire.

In una interpretazione realistica di ruolo e collocazione geografica del suo Paese, l’estrema sensibilità politica del “dossier cinese” è peraltro perfettamente compresa dal premier Kishida. Dopo avere incontrato Xi Jinping nel novembre 2022 a Bangkok nel contesto del Vertice Apec (il Foro di cooperazione economica Asia-Pacifico) è attesa a breve la missione a Pechino del ministro degli Esteri, Yoshimasa Hayashi, del quale sono conosciute le posizioni di moderazione ed equilibrio nei confronti del problematico vicino.

D’altronde, se in campo politico i motivi bilaterali di attrito sono numerosiF e di peso (basti pensare allo status di Taiwan, alla contesa territoriale sulle isole Senkaku/Diaoyu, alle prese di posizione, giudicate lesive degli interessi cinesi, del Comunicato del recente vertice G7 a guida giapponese), occorre considerare, sull’altro piatto della bilancia, l’ampiezza e la rilevanza degli interessi economici in gioco, bene riassunti dalla presenza in territorio cinese di importantissimi complessi industriali giapponesi e, più in generale, dalla circostanza che i due Paesi occupano, reciprocamente, la prima posizione nella classifica dei rispettivi importatori ed esportatori.

In attesa di conoscere gli sviluppi nei vari “cantieri” attualmente aperti e nel confidare che per la soluzione degli stessi si faccia esclusivo ricorso al metodo negoziale, una cosa appare, al di là di ogni ragionevole dubbio, certa: nella definizione dei futuri assetti internazionali, nessun Paese potrà più permettersi di sottovalutare le priorità, gli interessi e i punti di vista giapponesi, in quanto il Sol Levante is in the picture again.

 

Il Reggente, Marco Marsilli

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