In un contesto internazionale come l’attuale dove le “ombre” appaiono, nostro malgrado, decisamente prevalenti, l’apparizione di una “luce”, soprattutto se insperata, è evento da non passare sotto silenzio, benché la sua resilienza e durata nel tempo siano ancora tutte da verificare.

Sulla sponda sud del Mediterraneo, per il nostro Paese caratterizzata, nel passato, da trascorsi storici tormentati e, ai giorni nostri da consistenti e variegati interessi, economici, di sicurezza e di altra natura, una nazione sembra faticosamente uscire da un decennio di devastanti conflitti interni e optare per una soluzione politica in grado di conferire stabilità ai propri fragili assetti istituzionali.

Stiamo parlando della Libia, dove un Governo ad interim di unità nazionale, affidato alle cure di un facoltoso uomo d’affari, il primo ministro Dbeibah, ha ottenuto nei giorni scorsi a larghissima maggioranza la fiducia del Parlamento, riunitosi nella città natale del colonnello Gheddafi, Sirte.

Al nuovo esecutivo è stato dunque affidato il mandato di condurre il Paese a elezioni «libere ed eque», fissate per il prossimo mese di dicembre.

Nel suo insieme la comunità internazionale ha reagito molto positivamente all’imprevisto, ma gradito, sviluppo, con Stati Uniti, Unione europea (compresa ovviamente l’Italia) e Nazioni Unite unanimi nel parlare di «opportunità storica» per la Libia, posta di fronte a una concreta prospettiva di riappacificazione nazionale e di conferma della propria sovranità e integrità territoriale.

Più di un osservatore è propenso a identificare nel recente cambio di inquilino alla Casa Bianca un essenziale fattore di facilitazione per il cambio di rotta a Tripoli.

A tale proposito, non si può escludere che l’approccio dialogante del presidente Biden, associato alla aspettativa libica di prossimi, rilevanti investimenti economici d’oltre oceano, abbia indotto la locale classe politica a sotterrare contrasti che sembravano insanabili.

Un segnale della presenza di sin qui inedite aperture è rappresentato dall’annunciato affidamento a due donne di dicasteri chiave quali gli Esteri e la Difesa e, più in generale, alla valorizzazione di una componente ”rosa” che, in termini percentuali, non sfigurerebbe in un governo europeo.

Certo, la strada che porta alle consultazioni di dicembre è irta di incognite e ostacoli. Aldilà della tradizionale litigiosità e imprevedibilità di comportamento dei clan tribali libici, in campo internazionale pesa moltissimo il futuro atteggiamento della Federazione russa e della Turchia (non a caso a oggi silenti), sino a non molte settimane fa acerrime rivali nel sostegno accordato ai due “uomini forti” che si contendevano il potere, rispettivamente l’ex premier al-Serray e il generale Haftar.

Occorre rilevare come in Libia stazionino a tutt’oggi, al servizio dei due schieramenti sopracitati, consistenti e ben equipaggiate milizie, il cui ritiro dal paese - benché previsto dalle intese concluse - non potrà avvenire che con il consenso di Mosca e di Ankara, verosimilmente concesso non senza adeguati corrispettivi.

Quanto precede richiederà alla nostra Campana, nel rispetto della universalità che la contraddistingue, di conferire nel prossimo periodo ai suoi giornalieri ritocchi una speciale impronta “mediterranea”.

Quanto all’auspicato consolidamento del Governo ad interim libico, i prossimi mesi risulteranno molto importanti. Nel riconoscimento che un “deragliamento” del processo democratico potrebbe, purtroppo, verificarsi in qualsiasi momento (indotto, oltretutto, da fattori esterni, quali l’improvvisa escalation delle tensioni russo-americane) un percorso iniziale privo di inciampi costituirebbe un viatico adeguato per le cruciali scadenze di fine anno.

Accanto ad altri, ma forse più di altri paesi, l’Italia è chiamata a fare tutto quanto è nelle sue possibilità al fine di mantenere accesa una “luce”, di enorme importanza sia per il martoriato popolo libico che per l’instabile scacchiere mediterraneo.

 

Il Reggente Marco Marsilli

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