PROTEZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI IN EUROPA
DI ROBERTO TONIATTI
Il 26 marzo scorso si è tenuta nella sede della Fondazione Campana dei Caduti una conferenza sulla Protezione dei diritti fondamentali in Europa tenuta da Roberto Toniatti, professore Emerito di Diritto Costituzionale Comparato presso l’Università degli Studi di Trento. Proponiamo di seguito stralci dal suo intervento.
La definizione e la tutela dei diritti fondamentali in Europa e nel mondo nascono nell’era della modernizzazione e risalgono, teoricamente, all’elaborazione del pensiero illuminista e, storicamente, alle grandi rivoluzioni inglese, statunitense e francese. Si tratta di un processo lungo e graduale, verosimilmente ancora in corso, che si sviluppa nel contesto del riconoscimento della libertà religiosa come funzione esclusiva dello Stato nazione, che - dal trattato di Westphalia (1648) - è divenuto il modello di organizzazione del potere pubblico. Quest’ultimo acquisisce progressivamente la configurazione dello Stato liberale di diritto.
In particolare, a fronte della supremazia del Parlamento quale organo elettivo e rappresentativo e del primato della legge su ogni altra manifestazione di volontà dello Stato, il giudice si configura, secondo la nota definizione di Montesquieu, come «la bocca della legge», e, dunque, si concepisce l’interpretazione giudiziaria come un’attività di tipo sillogistico, rigorosamente non valutativa, espressiva esclusivamente della volontà del legislatore.
In sintesi, le originarie coordinate essenziali della tutela dei diritti fondamentali consistono, in primo luogo, nello stretto rapporto fra diritti fondamentali e sovranità nazionale dello Stato e, in secondo luogo, nella configurazione, del ruolo del giudice come strettamente applicativo della legge.
In Europa, entrambe le coordinate originarie hanno vissuto una determinante evoluzione, anche rispetto agli sviluppi planetari promossi dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, senza tuttavia acquisire una concezione autenticamente condivisa circa i diritti dell’Uomo e senza predisporre una sede per la tutela contro le violazioni dei diritti fondamentali degli individui. Anche a causa degli orrori patiti durante la seconda guerra mondiale, infatti, l’Europa ha compiuto scelte fondamentali proprie e alternative.
Nel 1949 è stato istituito il Consiglio d’Europa, con sede a Strasburgo e già nel 1950 è stata conclusa la Convenzione europea per la tutela delle libertà fondamentali e dei diritti dell’Uomo, il cui Preambolo qualifica, fra l’altro, «i governi firmatari, membri del Consiglio d’Europa [come] animati da uno stesso spirito e forti di un patrimonio comune di tradizioni e di ideali politici, di rispetto della libertà e di preminenza del diritto». La Convenzione europea esprime, dunque, la constatazione dell’esistenza, nel presente e nell’immediato, di una concezione comune. Inoltre, istituisce una sede giurisdizionale permanente - la Corte europea dei diritti dell’Uomo - per la tutela di casi individuali e per l’adozione di sentenze di ripristino dei diritti violati e la sanzione degli Stati membri responsabili di tali violazioni. Si riconosce un diritto individuale di accesso alla Corte a ciascuna persona umana in quanto tale, a prescindere dalla titolarità della cittadinanza di uno Stato membro.
Una seconda prospettiva di protezione dei diritti fondamentali in Europa riguarda l’assetto vigente nell’Unione Europea. Si tratta di una prospettiva ancora più interessante e paradigmatica della civiltà liberale europea.
I trattati istitutivi delle Comunità europee, infatti, non intendevano attivare alcun meccanismo di tutela dei diritti fondamentali: il focus dell’integrazione sovranazionale era infatti circoscritto all’ambito funzionale dell’integrazione del mercato e, in quel contesto, l’espressione formale di “diritti fondamentali” si riferiva esclusivamente alle quattro libertà fondamentali di circolazione delle persone, dei capitali, delle merci e dei servizi. Con il progressivo consolidamento dell’esercizio della funzione di governo e dei poteri legislativo e amministrativo, si è specularmente consolidata, però, l’esigenza di una progressiva individuazione di limiti all’azione pubblica delle istituzioni comunitarie, tali limiti non potendo non includere, in primis, la tutela dei diritti fondamentali degli individui.
In assenza di norme esplicite nel testo dei trattati istitutivi, la Corte di Giustizia, con sede in Lussemburgo, si è trovata nella non agevole situazione di dover scegliere fra la mancata tutela dei diritti fondamentali ovvero fra la garanzia della tutela, ma previa individuazione del fondamento legislativo di riferimento. La Corte ha individuato tale fondamento sia nelle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, alle quali essa ha dichiarato di essere obbligata ad attenersi, sia nelle norme della Convenzione europea della quale tutti gli Stati membri erano parti contraenti. Entrambe le fonti sono state qualificate, nel silenzio dei testi, quali «principi generali» dell’ordinamento comunitario, ora dell’Unione europea. Solo nel 2000 è stata adottata a Nizza la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea la cui entrata in vigore come fonte di diritto costituzionale è avvenuta con il trattato di Lisbona nel 2007.
Sulla base di questo scenario di fondo, occorre osservare che la protezione dei diritti fondamentali in Europa si articola su tre ordinamenti: in primo luogo, l’ordinamento degli Stati membri, in base alla rispettiva Costituzione e leggi nazionali, sotto la garanzia della rispettiva giurisdizione e con la garanzia delle rispettive Corti supreme e del controllo di legittimità costituzionale delle leggi esercitata dalle rispettive Corti costituzionali; in secondo luogo, dall’ordinamento della Convenzione europea e con la garanzia della Corte europea, nei confronti delle violazioni poste in essere dagli Stati contraenti; in terzo luogo, dall’ordinamento dell’Unione europea, con la garanzia della Corte di Giustizia, nei confronti delle violazioni poste in essere dalle istituzioni dell’Ue e dagli Stati membri nel campo di applicazione del diritto dell’Ue.
Si tratta, pertanto, di un assetto delle fonti di “pluralismo costituzionale” e di “pluralismo giurisdizionale”, ossia della garanzia giurisdizionale articolata su tre ordini di Corti, ciascuna suprema nel proprio rispettivo ordinamento. Ne discende un problema di “definizione del rapporto” fra questi tre ordini di fonti del diritto e di garanzia giurisdizionale. Si tratta di un rapporto privo di una struttura gerarchica formale. Ciascun ordinamento e soprattutto ciascuna giurisdizione rivendica il proprio primato.
Il rapporto fra fonti e giurisdizioni è in realtà assicurato solo sul piano di fatto da una prassi che è stata qualificata come “dialogo fra i giudici”, ossia sulla “buona volontà” dei giudici nazionali, i quali sono orientati a dare alle fonti del diritto scritto un’interpretazione conforme alle fonti europee, e altresì dei giudici europei i quali tengono conto del diritto interno nell’interpretazione del diritto europeo. Il metodo del dialogo fra giudici (che può portare a una sorta di ping pong interpretativo fra l’una e l’altra corte) conduce a un accomodamento caso per caso.
In conclusione, si può affermare che la tutela dei diritti fondamentali è una «responsabilità condivisa» fra istituzioni europee e nazionali e che questo assetto realizza una forma sofisticata di «democrazia costituzionale europea».