OGNI STORIA HA I SUOI COLORI

 

Due cose non si possono cambiare nella vita: la mamma e la fede sportiva. Sulla mamma non si discute, per il resto c’è stata qualche eccezione, ma è un evento raro, trascurabile.

Emozionarsi seguendo una competizione, parteggiando per uno o per l’altro asseconda dei colori che indossa, è quasi la norma. Il senso di appartenenza è profondo, è legato a qualcosa di atavico che in parte ci sfugge ed è completamente indipendente dai protagonisti. Basta che un giocatore cambi casacca e lo scaraventiamo giù dall’empireo. Non c’è appello, la condanna è ferma, il reato è alto tradimento, la pena si applica con decorrenza immediata.

Alcune accoppiate cromatiche sono migliori di altre? Forse, ma non basta. C’è un fondo di verità nella superiorità che riconosciamo ai vessilli che ci identificano? Improbabile. E allora perché ci scateniamo senza freni dietro dei colori qualsiasi?

La bandiera è una questione culturale. È nata in ambito militare per distinguere la posizione delle proprie truppe da quella dei nemici durante una battaglia. Per questo porta con sé l’idea di un gruppo di persone unite dallo stesso scopo, certe volte dalla stessa sorte. Ma se in origine indicava “semplicemente” dove erano collocati i “buoni” e i “cattivi” nei secoli è diventata il simbolo di una relazione, di una appartenenza profonda che ci fa consegnare il diritto alla nostra gioia nelle mani di uno sconosciuto, in piedi davanti al dischetto del rigore nell’interminabile attimo che precede il fischio dell’arbitro.

Basta un vessillo che “garrisce al vento” per rimettere in fila la storia di Paese, le imprese, i tradimenti, l’orgoglio, la determinazione, «le donne, i cavallier, l’arme, gli amori». Per questo ammiriamo chi “porta alta la bandiera” e consideriamo un traditore chi la cambia, per questo collochiamo quel simbolo sempre nel punto più alto, e quando non si può nel più visibile.

Un vessillo che “garrisce al vento” contiene in sé la cultura di un intero Paese

Ecco cosa viene consegnato a Maria Dolens quando un ambasciatore di un Paese lontano arriva sul Colle di Miravalle e cammina lentamente verso il pennone accompagnato dal Reggente, dalle autorità locali, dalla Polizia municipale in uniforme da parata e da tutta la città di Rovereto: il cuore di un popolo, le sue aspettative, la sua unicità e l’aspirazione ad abbracciare altri uomini unici e al tempo stesso uguali. Per questo 99 vessilli sventolano ogni giorno nel luogo della Pace. Non è una parata e nemmeno uno sfoggio di “internazionalità”, è l’aspirazione a rappresentare la bandiera delle bandiere, a tenerle tutte insieme, compatte, quasi fuse in un bianco globale che le accomuna e le contiene. Chissà se prima di battere un calcio di rigore il nostro eroe ci pensa? E chissà se saremo capaci di essere orgogliosi dei colori che abbiamo nel cuore senza odiare quelli del portiere.

Bandiere al Colle di Miravalle

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