Come noto, la “legge di Murphy” è quella poco simpatica regola non scritta secondo la quale un individuo, già di per sé in una fase non positiva della propria esistenza, si vede improvvisamente confrontato da ulteriori fattori negativi, non previsti né prevedibili, che contribuiscono ad aggravare un contesto personale caratterizzato da poche luci e moltissime ombre.

Traslando il discorso verso gli Stati, questo si applica oggi perfettamente alla Francia, alle prese con una grave impasse istituzionale, in presenza di un presidente, ormai ampiamente indebolito e financo discreditato, che si ostina a individuare nell’avvicendamento di primi ministri “usa e getta” (ben cinque nell’ultimo triennio) l’improbabile rimedio a una grave crisi politica, che è da un lato “di sistema” e dall’altro, e verrebbe da dire soprattutto, a lui riconducibile.

Si aggiungono una situazione economica tutt’altro che brillante (la produzione industriale è in prolungato regresso) e una minaccia costante di conflitti sociali (ricordiamo le caotiche manifestazioni dei gilets jaunes di qualche tempo fa) pronti a deflagrare in caso di provvedimenti impopolari.

Non è certo un caso che, al fine di evitare un massiccio ritorno nelle piazze di folle a lui ostili, il presidente Macron si sia trovato nella necessità di ritirare una delle leggi da lui più sostenute anche sul piano personale, vale a dire l’innalzamento dell’età pensionabile.

E veniamo alle concrete apparizioni della “legge di Murphy” in territorio transalpino, ridotte sì sul piano dei numeri (sostanzialmente due), ma di portata eccezionale su quello dell‘immagine, anche verso l’esterno, del Paese.

La prima ha avuto luogo la mattina del 19 ottobre (una domenica), allorquando quattro malfattori muniti di mezzi tecnici tutt’altro che sofisticati (un furgone attrezzato con scala montacarichi; degli strumenti taglia-vetro; due scooters per la fuga) oltre che di notevole sangue freddo, si sono introdotti alla luce del sole nel più importante museo del Paese, il Louvre, prelevando indisturbati dalla cosiddetta Galleria di Apollo nove preziosissimi gioielli di periodo napoleonico. La stima di 88 milioni di Euro è, in realtà, inferiore al valore “originario” del furto, tenuto conto che il pezzo più prezioso, la celebre “corona della Imperatrice Eugenia”, è stata successivamente ritrovata sulla pubblica via, solo leggermente ammaccata, a seguito di una incredibile distrazione degli autori del furto.

Le indagini - che hanno portato al fermo di due pregiudicati in procinto di lasciare il Paese - hanno permesso di verificare, per lo sconcerto dell’opinione pubblica nazionale, una serie di fattori decisamente sorprendenti, quali l’assenza di una assicurazione sui monili e l’inesistenza di un allarme perimetrale, scattato infatti solo quando i malfattori, penetrati all’interno del museo, avevano praticamente completato l’asporto. Per una istituzione che riceve, annualmente, 9 milioni di visitatori, tali precauzioni, benché certamente non indolori in quanto a costi, sembrerebbero scontate, ma una volta acclarata la loro assenza i francesi assistono ora del tutto impotenti ai consueti palleggi e scarichi di responsabilità.

Il secondo episodio è successivo di due giorni (21 ottobre) e si riferisce alla traduzione al carcere parigino della Santé di Nicolas Sarkozy, già presidente della Repubblica nel quinquennio 2007-2012. A suo carico la magistratura aveva nel passato già avviato un paio di inchieste (in particolare per intercettazioni telefoniche illegali), conclusesi con sentenze di condanna di modesta entità.

Ben diversa la gravità dei reati contestatigli, da ultimo, dal Tribunale di Parigi, sfociati in una condanna a 5 anni di reclusione e alle pene accessorie della ineleggibilità e della interdizione dei diritti civili, per associazione a delinquere, unico capo d’accusa accertato, una volta venute meno le ipotesi di corruzione e di appropriazione indebita che avrebbero fatto scattare una condanna più severa. Il reato è da collegarsi alla sua (vittoriosa) campagna elettorale del 2007, che lo vedeva opposto alla socialista Royal. In quel periodo due suoi strettissimi collaboratori si erano rivolti all’allora presidente libico, Muammar Gheddafi, per sollecitargli un finanziamento in cambio di non meglio specificati “appoggi politici” di Parigi. Per la verità, i giudici non hanno potuto stabilire se tali somme siano o meno effettivamente confluite nei fondi della campagna, né se lo stesso Sarkozy si sia personalmente adoperato per ottenere tale illecita donazione. I magistrati, in altri termini, lo hanno considerato colpevole, e di conseguenza condannato, sulla base del fatto che egli non poteva ignorare la illegale iniziativa dei suoi collaboratori e che, essendone a conoscenza, non vi si sia opposto.

Per un destino beffardo, l’incarcerazione di Sarkozy dopo un solo grado di giudizio è frutto di una legge del 2020, a suo tempo appoggiata anche dal gruppo gollista, adottata allo scopo di colpire con maggiore severità i rei, privandoli della condizione di affrontare in libertà il periodo che precede l’appello. Essendo, nel suo caso, il secondo grado di giudizio fissato per il marzo 2026, Sarkozy avrebbe dovuto trascorrere in carcere almeno cinque mesi. I giudici hanno però accolto la richiesta dei suoi avvocati e quella della Procura, che avevano sollecitato la scarcerazione dell’ex presidente. Sarkozy ha quindi lasciato il penitenziario dopo 20 giorni di reclusione, pur rimanendo sotto sorveglianza giudiziaria.

Comunque vadano le cose, si tratta certamente di un jamais vu nel panorama politico-istituzionale europeo, almeno dal secondo dopoguerra a oggi, destinato a incidere in profondità sia nell’immagine che nel subconscio collettivo della Francia e dei suoi abitanti.

In chiusura sembrano pertinenti alcuni commenti sulla più generale situazione nell’“Esagono”. L’origine della prolungata crisi politica citata in apertura di editoriale può essere identificata nella pesante sconfitta elettorale riportata dai partiti filo-governativi alle Europee del giugno 2024 e acuita, a distanza di poche settimane, dalla improvvida decisione del presidente Macron di sciogliere le Camere e di indire nuove elezioni legislative. Contrariamente alle aspettative dell’Eliseo, da queste ultime non è infatti emersa una maggioranza tale da consentirgli la governabilità del Paese, anche con i vantaggi offerti da un sistema di democrazia presidenziale, soprattutto a causa del consistente avanzamento registrato sia dai partiti di sinistra che dalle forze dell’estrema destra.

In aggiunta a quello dei mercati finanziari, timorosi sul piano interno di ulteriori incertezze e dell’intensificarsi dei contrasti sociali, un discorso ispirato a preoccupazione si applica certamente anche per la politica europea, in cui la Francia ha, da sempre, esercitato il ruolo di imprescindibile pilastro, ulteriormente evidenziato dal gennaio 2020, data di attuazione della Brexit, dal fatto di essere l’unico Paese UE in possesso dell’arma nucleare.

È comunque proprio nel campo della politica estera che al presidente Macron (il cui mandato scade nella primavera del 2027) possono essere ascritti legittimi meriti. Nel conflitto israelo-palestinese, egli è risultato infatti il capofila della ampia tornata di riconoscimenti a favore dello Stato palestinese registratisi a New York in occasione della recente Assemblea Generale. In quello russo-ucraino, è stato il co-fondatore (assieme al britannico Starmer) nonché componente molto attivo della “Coalizione dei volenterosi”, la denominazione che raggruppa una trentina di Paesi “occidentali” determinati a fornire garanzie di sicurezza a lungo termine a favore di Kyev, mettendo a disposizione di quelle autorità anche i corrispondenti mezzi finanziari.

In conclusione, lo scenario di una Francia indebolita non è a, ben vedere, nell’interesse di nessun Paese europeo e meno che mai dell’Italia, la quale - nonostante il periodico riaffiorare a livello bilaterale di qualche motivo di “incomprensione” - trova nella “sorella latina” una sponda preziosa e, di norma, affidabile per l’affermazione sul continente di finalità comuni e di condivise priorità

 

Il Reggente, Marco Marsilli

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