PER CHI SUONA LA CAMPANA - P20
Con la scomparsa di Alberto Robol nel 2024, Rovereto ha perso, perde, non solo il reggente della Fondazione Opera Campana dei Caduti dal 2003 al 2020, ma un letterato, un pensatore, un interprete profondo dello spirito che anima Maria Dolens. Nella sua visione, la Campana non era un oggetto, ma un’entità viva che accompagna la storia e ne interpreta i mutamenti. Seguendo il solco tracciato da don Rossaro, padre Iori e Monti, Robol vide nel 1965 – l’anno in cui Paolo VI benedicendola in Piazza San Pietro ne ridefinì il significato – la svolta decisiva: da simbolo dei caduti a coscienza vigile dell’Umanità. «Il culto dei morti – spiegava - diventa ammonimento ai vivi, stimolo alla speranza».
Per lui la Campana rappresentava una rivoluzione culturale: era nata dal bronzo dei cannoni di vincitori e vinti, un gesto senza precedenti che trasformava la memoria della guerra in abbraccio universale. «L’interlocutore della Campana è l’Umanità stessa», diceva con la passione di un filosofo. Da letterato, Robol sapeva che i simboli vivono di parole e di interpretazioni, e volle che Maria Dolens diventasse «coscienza del mondo», luogo dove la Pace non fosse retorica, ma educazione permanente dello spirito.
Sotto la sua reggenza la Fondazione si aprì all’internazionalità, ospitando le bandiere di oltre ottanta nazioni e sognando di esporle tutte. Il suo progetto era chiaro: trasformare il Colle di Miravalle in una cittadella della Pace, un punto di incontro tra culture e religioni, una sorta di “altare universale” dove ogni fede potesse trovare spazio.
Lì, diceva, «cielo e vegetazione si incontrano», e natura e Uomo si riconciliano.
Per Robol la Campana non era di Rovereto, ma del mondo, la città per lui ne era la custode spirituale, non la proprietaria. Per questo invitò le associazioni, le scuole e i cittadini a riconoscere nel suono serale di Maria Dolens una chiamata civile. Con il Congresso dei ragazzi, iniziativa educativa rivolta agli studenti, diede corpo a una vera pedagogia della Pace: un modo per formare nuove generazioni consapevoli che il dialogo è «impegno personale, non una semplice aspirazione».
La sua riflessione letteraria traspare in ogni parola. Come Manzoni, Robol credeva che la storia sia un immenso presente, nel quale si inseriscono il passato e il futuro. La Campana, nella sua visione, è proprio questo: un giudizio sonoro e quotidiano sull’Umanità, che «ricorda i caduti di tutte le guerre, anche quelle sconosciute», e al tempo stesso invita i vivi alla responsabilità. E per fare questo non esitò a utilizzare l’arte. Coinvolgendo il Teatro Potlach ha avviato all’inizio degli anni 2000 la serie di rappresentazioni di Città invisibili che anche nell’anno del centenario hanno “riletto” la città di Rovereto attraverso i valori rappresentati da Maria Dolens. Fu sempre lui, nello stesso periodo, a inaugurare il Concorso internazionale di Composizione “Strumenti di Pace”, che nelle sue tre edizioni ha portato sul Colle di Miravalle interpreti di portata internazionale, tra i quali l’indimenticato Ennio Morricone.
Tutte le sue iniziative sembrano fare parte di un disegno complessivo. Convinto che la Pace sia la forma più alta di giustizia, anche sul piano politico, Robol lavorò perché Maria Dolens diventasse interlocutrice delle grandi istituzioni internazionali, dal Consiglio d’Europa all’Onu. Anche per questo sul Viale delle Bandiere sventolano uno accanto all’altro vessilli di Paesi in conflitto tra loro: un’immagine che riassume il suo sogno di fraternità universale.


