A oltre un mese dal “trionfante” ingresso dei Talebani a Kabul continua a destare profonda impressione il fatto che una milizia di modeste dimensioni sul piano numerico e priva di armi particolarmente sofisticate sia riuscita ad annientare, senza particolare sforzo, un esercito “governativo” destinatario di un impressionante volume di assistenza militare “occidentale” e a trascinare, in parallelo, alla rovina vent’anni di progresso civile, sociale, educativo faticosamente acquisito dalla popolazione afghana, facendola ripiombare in una sorta di oscurantismo medioevale.

Lasciando a sociologi, politologi, storici ed esperti di questioni militari, ognuno per la propria area di competenza, la soluzione di quest’enigma, intendiamo svolgere qui di seguito alcune considerazioni sulla situazione venutasi a creare, a partire dal 15 agosto scorso, in Afghanistan e sul modo più adeguato, per quanto nelle possibilità della comunità internazionale, di affrontarla.

Nei giorni scorsi l’Unione europea ha formalmente rese note le cinque precondizioni non negoziabili, indispensabili per un «avvio di contatti» con i nuovi padroni di Kabul.

A questi ultimi è stato specificamente richiesto: di rispettare i diritti umani, in primis per quello che riguarda la popolazione femminile ed i minori; di dare vita ad un Governo «inclusivo e rappresentativo»; di impedire la costituzione nel Paese di basi operative per il terrorismo; di concedere libero accesso agli aiuti umanitari; di permettere a tutti quelli che lo desiderano, compresi i cittadini afghani, di lasciare indisturbati il Paese.

Occorre vincolare il progressivo sblocco delle essenziali dotazioni finanziarie, attualmente congelate, a impegni formali e monitorabili

A poco più di un mese di distanza dalla conquista della Capitale, alcune di esse appaiono di problematica, se non impossibile, realizzazione. In relazione ai diritti umani, l’ufficio ginevrino della Alta Commissaria preposta al settore, Michelle Bachelet, è inondato di denunce, basate su incontrovertibili evidenze, di esecuzioni sommarie, di rigidissime misure restrittive a danno di donne e minori e persino di arruolamenti forzati di giovani a fini militari, messe in atto dalle nuove autorità sin dall’indomani della presa di potere. Da parte sua, il Governo di recente insediamento – lungi dal potersi dire “pluralista” - si distingue soprattutto per l’elevato numero di ricercati per fatti di terrorismo che lo compongono, nonché per la totale assenza sia dell’elemento femminile che di personalità “esterne” al Movimento. A ben vedere, tutto (o quasi) ruota a questo stadio attorno all’aspetto dell’assistenza finanziaria generosamente concessa per lunghi anni dall’Occidente all’Afghanistan prima di Karzai e poi di Ghani, assistenza che, secondo stime attendibili, rappresentava oltre la metà del prodotto interno lordo. Nonostante il prevedibile incremento nella produzione di oppiacei (la principale voce di reddito afghana) e la scontata riduzione delle spese militari, dato il ridotto numero di Talebani sotto alle armi, anche il nuovo regime non potrà per sopravvivere che dipendere dagli aiuti di oltre- confine. Tale evidenza porta a riconoscere il possesso, da parte di Stati Uniti e Unione Europea, di leve non secondarie per richiedere e ottenere da parte dei mullah migliorie di peso, sul piano - ad esempio - dell’incondizionato accesso agli aiuti umanitari e della indisturbata partenza, quando lo vorranno, degli operatori stranieri tuttora in Afghanistan al servizio di organismi multilaterali od Organizzazioni non governative umanitarie.

È auspicabile che tali leve vengano utilizzate, a Washington come a Bruxelles, con intelligenza, determinazione ed equilibrio, vincolando il progressivo sblocco delle essenziali dotazioni finanziarie, attualmente congelate, a impegni formali e monitorabili della dirigenza talebana, ivi compresa la prioritaria tematica del contrasto al terrorismo.

È necessario coinvolgere nel negoziato potenze globali, quali Cina e Federazione Russa, senza escludere i Paesi arabi dell’area

Un altro aspetto di fondamentale rilevanza è costituito dal coinvolgimento nella ricerca di una “soluzione afghana” di potenze globali, quali Cina e Federazione Russa, senza ovviamente escludere i Paesi arabi dell’area, per ragioni che appare qui persino superfluo citare. Da questo punto di vista i due importantissimi eventi multilaterali previsti prossimamente in calendario, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite e il Vertice G20 sotto presidenza italiana, fortemente voluto - quest’ultimo - dal nostro presidente del Consiglio, potranno apportare riscontri probanti e, auspicabilmente, di segno positivo.

Sul fatto poi che anche Maria Dolens sia più che disponibile a fare la sua parte, non vi può essere, viste le circostanze, alcun dubbio.

 

Il Reggente, Marco Marsilli

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