La Repubblica Popolare Cinese (RPC) è risultata la recente protagonista di due eventi che anche a causa di una amplissima copertura mediatica hanno una volta di più riportato, e di prepotenza, l’attenzione di governanti e opinioni pubbliche mondiali sul “dragone asiatico”, secondo Paese del pianeta per popolazione e potere economico.

Andando per ordine, a fine agosto ha avuto luogo nella città di Tianjin l’annuale Vertice della Shanghai Cooperation Organisation (SCO) istituita nel 2001 da un’iniziativa congiunta di Cina, Federazione Russa e quattro Paesi centro-asiatici.

Da entità prettamente regionale, la stessa è oggi “lievitata” a corposa entità multilaterale, forte di una trentina di partecipanti fra membri effettivi (con India, Iran e Pakistan fra le new entries) e osservatori, pressoché tutti rappresentati al più alto livello all’importante appuntamento cinese.

In termini assoluti, la “quota” complessiva della SCO si attesta attorno al 40 per cento della popolazione e al 25 per cento dell’economia mondiale, risultati che, a ben vedere, non sono troppo lontani da quelli vantati da fori internazionali ben più noti e consolidati, in primis il G7 e il G20.

Il secondo evento, a distanza di pochi giorni (3 settembre), si è svolto a Pechino, in occasione dell’80o anniversario della vittoria cinese nella guerra di liberazione contro il Giappone, ed è consistito in una imponente parata militare, abilmente orchestrata dal Presidente Xi Jinping, nella quale sono stati orgogliosamente esibiti i più moderni sistemi d’arma in dotazione alle forze armate del Paese. Accanto a migliaia di militari, hanno fatto così parte della coreografia i più sofisticati mezzi di attacco, quali i missili nucleari intercontinentali e i caccia stealth.

La partecipazione straniera ai due mega-eventi, risultata pressoché identica sul piano numerico (circa 30 Paesi presenti), ha fatto viceversa registrare differenze significative di partecipazione nelle due località. Il Primo Ministro indiano Narendra Modi, presente a Tianjin, si è significativamente astenuto dalla parata militare sul viale Chang’an, alla quale si è invece vistosamente associato il “Rispettato Maresciallo” nord-coreano Kim Jong-un, appositamente giunto a Pechino sul suo lentissimo (ma, ed è quello che conta, indistruttibile) treno corazzato con, al suo fianco, l’omologo iraniano Pezeshkjan.

Del Vertice della SCO quello che passerà alla storia non saranno certo i modesti risultati concreti ottenuti negli incontri di lavoro, sintetizzabili in un paio di dichiarazioni congiunte su Iran e Gaza, nella messa a punto di una banca comune di sviluppo e in qualche accordo di natura militare e commerciale e nel settore agricolo. Quelle che rimarranno invece a lungo impresse nella memoria collettiva saranno, da un lato, l’intesa bilaterale russo/cinese in materia di energia, concretizzatasi nella costruzione di un nuovo gasdotto denominato “Power of Siberia 2”, destinato a raddoppiare il volume annuo di forniture russe a Pechino, che si avvicinerà ai 100 miliardi di metri cubi. Dall’altro, saranno ricordate le immagini, veicolate dai media mondiali e attentamente analizzate dagli esperti, di Xi Jinping, Narendra Modi e Vladimir Putin impegnati a margine dei lavori in una, almeno in apparenza, distesa conversazione a tre, condita da “dettagli” indubbiamente poco abituali sul piano diplomatico, quali il prolungato colloquio fra lo “Zar” e il Premier indiano avvenuta non già in una sala di conferenze in presenza dei rispettivi delegati ma nella formula one to one, nella limousine blindata del primo.

Ovviamente molti potrebbero essere gli aspetti venuti in luce a Tianjin e a Pechino meritevoli di approfondimento. Per quanto ci riguarda, ci limiteremo a poche osservazioni, incentrate sul terzetto di leader sopra evocato e sul “grande assente”, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Partendo dai padroni di casa, il ruolo della Cina e la stessa leadership di Xi Jinping escono indubbiamente rafforzati, per avere riunito attorno a sé un numero significativo di rappresentanti del “grande Sud”, che è l’ambito geografico cui la Cina aspira, in chiara funzione anti-occidentale, ad assumere appena possibile la guida, anche attraverso il progressivo controllo sulle più rilevanti Agenzie delle Nazioni Unite. Con la sottoscrizione del sopra citato accordo in materia energetica, le cui clausole sono per ammissione generale penalizzanti per Mosca e vantaggiose per il suo Paese, Xi Jinping ha inoltre incrementato di un ulteriore, rilevante tassello l’asimmetria nel rapporto con la Federazione russa che ha come conseguenza quella di spingere sempre più (verrebbe da dire, inesorabilmente) quest’ultima nell’orbita della prima.

Ignaro (volutamente o meno) di tale minaccia, Vladimir Putin può ritenersi a sua volta soddisfatto per essere uscito, forse definitivamente, da quella situazione di isolamento che aveva caratterizzato il periodo immediatamente successivo alla aggressione russa dell’Ucraina. A titolo di paragone, nei filmati “d’epoca” appare evidente la freddezza nei comportamenti sia di Xi Jinping che di Modi in occasione del Vertice della SCO tenutosi a Samarcanda nel settembre 2022. La inaspettata passerella d’onore, con tanto di tappeto rosso e vigorosa stretta di mano, riservatagli dal Presidente USA nell’incontro di ferragosto di Anchorage è servita, indubbiamente, a riaprire al capo del Cremlino una serie di porte sin qui per lui di precario accesso.

Narendra Modi, dal canto suo, ha voluto apertamente dimostrare che una politica di dazi così aggressiva come quella adottata dall’amministrazione statunitense nei confronti del suo Paese non avrebbe piegato l’India, che fa della propria autonomia decisionale una delle caratteristiche marcanti della sua azione internazionale. Da qui è derivata la decisione del Premier indiano di effettuare, a distanza di ben 7 anni dal precedente, un viaggio in Cina, non a caso limitata al segmento multilaterale della SCO. Azzardare, su tali basi, l’ipotesi di un avvicinamento sino-indiano sembra decisamente fuori luogo, considerando la concorrenzialità di interessi delle due capitali sul continente asiatico e nel bacino indo-pacifico, nonché la presenza di questioni frontaliere ancora aperte, con periodici ritorni di accesa conflittualità (da ultimo nel 2020 nella valle del Gaiwan, parte del Kashmir conteso).

Nei commenti abbiamo lasciato per ultimo, non a caso, il “convitato di pietra” Donald Trump, a nostro avviso vero perdente su tutta la linea. Nessuno degli obiettivi che dalla Casa Bianca (o dai campi di golf di Mar-o-Lago…) il tycoon si era da ultimo prefisso di raggiungere, sembra infatti vicino a essere realizzato. Non certo la riduzione dell’influenza della Cina nel mondo, che anzi appare destinata ad accrescersi ulteriormente; non certo il protrarsi dell’isolamento internazionale di Putin, ormai riammesso fra i potenti della terra anche per colpa del citato clamoroso “autogol” di Anchorage; non certo, infine, la rinuncia indiana dall’acquistare a prezzi molto convenienti il petrolio russo, risorsa indispensabile ad alimentare un sistema economico in forte crescita, avendo raggiunto la quinta posizione mondiale.

Dal momento, però, che in politica nulla deve essere dato come scontato o definitivo, la “stella” del Presidente americano potrà tornare a brillare, e di luce viva, se, come è auspicio pressoché generale, l’intesa da lui fortemente perseguita che ha sin qui portato al cessate il fuoco a Gaza, al rilascio degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e al ritiro dell’esercito israeliano da gran parte della Striscia dovesse, in un arco di tempo per così dire “ragionevole”, sfociare in un vero e proprio accordo di Pace, premessa necessaria anche per dare sostanza all’obiettivo dei “due popoli, due Stati”. In tal caso, e pure all’interno di un percorso composto anche da comportamenti e decisioni molto discutibili, occorrerà riconoscere al tycoon di avere fatto tutto quanto in suo potere per conseguire, in campo internazionale, uno degli obiettivi annunciati come prioritari sin dal momento del suo insediamento alla Casa Bianca. L’invito rivoltogli dal presidente Zelensky a focalizzare, a questo punto, la sua prioritaria attenzione sul dossier russo/ucraino sembra infatti costituire non già una invocazione retorica ma un qualificato riconoscimento a tali sue capacità di mediazione.

 

Il Reggente, Marco Marsilli

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