L'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (SDGs) è stata adottata dalle Nazioni Unite nel 2015 come una chiamata universale all’azione, con due ambiziose missioni: porre fine alla povertà e «raggiungere lo sviluppo sostenibile nelle sue tre dimensioni – economica, sociale e ambientale – in maniera equilibrata e interconnessa».
Il concetto di sviluppo sostenibile al quale fa riferimento l’Agenda 2030 è un processo orientato a raggiungere gli obiettivi di miglioramento della qualità complessiva di vita delle generazioni presenti, senza compromettere gli obiettivi di miglioramento della qualità complessiva della vita delle generazioni future. Perché questa condizione sia assicurata è essenziale garantire un adeguato livello di equità intergenerazionale nell’accesso alle risorse (riproducibili e non riproducibili) e alle opportunità. Una sfida che può apparire utopica, ma che è sicuramente alta, entusiasmante e molto coraggiosa.
Un elemento particolarmente qualificante della strategia adottata dall’Assemblea dell’Onu è che questa sfida viene affrontata ponendo esplicitamente al centro dell’attenzione le persone. Un assai chiaro richiamo alla nozione di sviluppo umano proposta originariamente da Amartya Sen e fatta propria dall’United Nation Development Program (Undp).
Una sfida che può apparire utopica, ma che è sicuramente entusiasmante e molto coraggiosa
Lo sviluppo umano, sul presupposto che le persone sono la vera ricchezza delle Nazioni, consiste nella creazione di un ambiente in cui ognuno possa realizzare il proprio pieno potenziale e condurre una vita produttiva e creativa in accordo con i propri bisogni e interessi.
Coerentemente con questo approccio, centrato dunque sul binomio sviluppo umano e sostenibile, i 17 SDGs danno attuazione a una visione «sommamente ambiziosa e trasformativa», come si legge nell’Introduzione alla Dichiarazione dell’Onu. Essi, a loro volta articolati in 169 traguardi (target), sono fortemente interconnessi e nel loro insieme bilanciano, in misura e proporzioni variabili, le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: la dimensione economica, la dimensione sociale e la dimensione ambientale.
L’obiettivo 8, del quale in particolare ci occupiamo, riguarda prevalentemente, ma non esclusivamente, la dimensione economica dello «sviluppo umano e sostenibile». Esso delinea una missione multi obiettivo, finalizzata al conseguimento di tre risultati strategici fondamentali: (I) conseguire tassi di crescita più elevati, specie nei Paesi meno sviluppati, (II) creare occupazione, puntando prevalentemente sull’aumento della produttività, (III) garantire condizioni di lavoro dignitose per tutti.
All’obiettivo di incentivare una «crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile» si riferiscono quattro dei 12 target in cui l’obiettivo 8 è articolato, prevalentemente orientati su interventi, anche strutturali, che operano dal lato dell’offerta: (I) accrescere la produttività puntando su innovazione e diversificazione della produzione, (II) rendere più efficienti e inclusivi i servizi bancari, assicurativi e finanziari, (III) sostenere lo sviluppo del commercio dei Paesi in via di sviluppo, (IV) intervenire sulla struttura della produzione e dei consumi per contenere il trade-off tra crescita e tutela dell’ambiente. Mancano, tuttavia: (I) una adeguata attenzione alle politiche di sostegno alla domanda interna, eventualmente sostenute da programmi di investimento infrastrutturale o di espansione della spesa pubblica; (II) una sufficiente attenzione a una più equilibrata distribuzione del reddito, eventualmente perseguibile attraverso la leva fiscale.
Per quanto riguarda l’obiettivo di creare «un’occupazione piena e produttiva», la strategia di fondo è di puntare soprattutto sul nesso tra crescita e occupazione, con un’attenzione forse troppo marginale alle politiche attive del lavoro, le cui finalità sono appunto quelle di aumentare il contenuto occupazionale della crescita. Tra i quattro target riferiti a questo obiettivo si segnala in particolare quello di «ridurre entro il 2030 la percentuale di giovani disoccupati e al di fuori di ogni ciclo di studio o formazione» (i cosiddetti Neet). Le strategie più adeguate a conseguire questo traguardo – investimenti in istruzione e formazione per accrescere qualità e spendibilità del capitale umano dei giovani – non sono tuttavia indicate, ma sono invece definite nell’ambito dell’Obiettivo 4 («Fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti»).
L’obiettivo di garantire un lavoro dignitoso è declinato su tre traguardi: (I) «entro il 2030, garantire un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso, assicurando a tutti la parità di retribuzione e di condizioni di lavoro» (8.5), (II) porre fine nel mondo al «lavoro forzato e al traffico di esseri umani, ed entro il 2025 al lavoro minorile in tutte le sue forme» (8.7); (III) tutelare i «diritti dei lavoratori e promuovere ambienti di lavoro sicuri per tutti» (8.8). Una strategia, come si vede, realistica e coraggiosa, che tuttavia non tiene nel dovuto conto la necessità di contrastare il lavoro sommerso, che pure costituisce un fattore strutturale di precarietà dei lavoratori diffuso in tutto il mondo.
Per quanto riguarda il grado di avvicinamento agli obiettivi dell’Agenda 2030, negli ultimi anni sono stati messi a punto diversi rapporti periodici di monitoraggio. Ne sono esempio il Sustainable Development Goals Report dell’Onu (2018) e, a livello regionale, il rapporto su Sustainable development in the European Union. Overview of progress towards the SDGs in an EU context (Eurostat), o ancora il Sustainable Development Report, (Cambridge University Press).
I dati del Sustainable Development Report evidenziano che la pandemia da Covid-19 ha segnato nel complesso una preoccupante battuta d’arresto. Nel 2020, infatti, per la prima volta dal 2015, il valore medio globale dell’indice che misura il grado di avvicinamento agli SDGs è diminuito rispetto all’anno precedente, in larga misura per effetto dell’aumento dei tassi di povertà e dei tassi di disoccupazione.
Lo sviluppo umano consiste nella creazione di un ambiente in cui ognuno possa realizzare il proprio pieno potenziale
Purtroppo l’Obiettivo 8 (Lavoro Dignitoso e Crescita Economica) è tra quelli nei quali i risultati conseguiti a livello mondiale sono stati meno soddisfacenti, con un progresso di appena 0,8 punti percentuali fino al 2019. Inoltre gli effetti della pandemia hanno rallentato fortemente la crescita con un impatto fortemente negativo sul mercato del lavoro, creando le premesse per il più drammatico aumento della disoccupazione globale dopo la seconda guerra mondiale. Questo aumento sta interessando e interesserà, in particolare i lavoratori autonomi, i salariati giornalieri e gli occupati nei settori più esposti alle politiche di restrizione, compromettendo purtroppo significativamente le prospettive di «un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti».
Il Sustainable Development Goals Report 2020, pubblicato dall’Onu nel 2021 offre qualche informazione di dettaglio a riguardo. Il tasso di crescita annuo del Pil reale pro capite, tra il 2015 e il 2019 si è mantenuto intorno al 2% nei Paesi industrializzati e poco sopra il 4% nei Paesi meno sviluppati. Nel 2020, per effetto della pandemia, si registra una contrazione superiore al 4% a livello globale, con un probabile recupero del 4,5% nel 2021. Un dato questo complessivamente molto distante dal previsto traguardo di una crescita costante del Pil reale di almeno il 7% nei Paesi meno sviluppati indicati nell’Agenda 2030.
Nel 2020 la pandemia ha avuto un impatto devastante sulla disoccupazione globale, che in diverse aree dovrebbe aver raggiunto un massimo storico a seconda delle politiche adottate. La riduzione delle ore lavorate è stata del 14% nel secondo trimestre del 2020, equivalente al monte ore di circa 400 milioni di lavoratori a tempo pieno. Infine, nonostante qualche miglioramento in alcuni Paesi, anche la prospettiva di garantire un lavoro dignitoso per tutti sembra ancora alquanto lontana. Con riferimento, ad esempio, alla sicurezza del lavoro in 9 dei 71 Paesi con dati disponibili, dal 2010 sono stati registrati più di 10 incidenti mortali legati al lavoro ogni 100.000 lavoratori. Gli stessi dati mostrano che i migranti sono esposti a più rischi e pericoli sul lavoro.
Adalgiso Amendola, Università di Salerno