ACCADE ALLE NAZIONI UNITE
LA CONFERENZA DI LISBONA SULLO STATO DELLE ACQUE NEL PIANETA

 

Mancano meno di trent’anni. Poi lo spazio occupato dalla plastica negli oceani supererà quello utilizzato dai pesci. I pesci sono tanti, alcuni anche molto grandi, noi siamo relativamente piccoli, ma più numerosi e molto meno previdenti. I pesci prendono dal loro ambiente quello di cui hanno bisogno e lasciano intatto il resto, noi prendiamo più di quello che ci serve e distruggiamo ciò che si frappone tra noi e l’obiettivo. Lo facciamo anche sulla terra ferma, ma lì c’è meno spazio, perché il 70 per cento del pianeta è ricoperto d’acqua. In ogni caso riteniamo legittimo distruggere le foreste che ci danno l’ossigeno, e per par conditio inquiniamo gli oceani che sono responsabili del 50 per cento di quello che respiriamo sul pianeta, ospitano una quantità enorme di specie, e contengono oltre l’80 per cento degli esseri viventi che abitano la Terra.

Non basta. Mettiamo a rischio le correnti oceaniche, che hanno un ruolo decisivo nella regolazione del clima. Se non ci fossero, per esempio, i Paesi nordeuropei sarebbero mediamente molto più freddi. Nel frattempo le temperature globali si stanno alzando e se in questa situazione critica l’efficacia dell’azione svolta dagli oceani venisse ulteriormente limitata, le conseguenze sarebbero devastanti. Molte specie marine rischierebbero l’estinzione, intere zone del pianeta si raffredderebbero e i livelli di inquinamento subirebbero un rapido incremento.

Di questo si è parlato dal 27 giugno al 1° luglio a Lisbona durante la seconda Conferenza delle Nazioni Unite sull’Oceano. L’obiettivo era quello di strappare alla comunità internazionale l’impegno a trovare soluzioni sostenibili per la conservazione, la protezione e l’uso responsabile delle risorse marine, secondo l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 14 dell’Agenda 2030. Si tratta di cambiare abitudini per ognuno di noi, e modello di sviluppo economico per gli Stati, che poi siamo sempre noi. L’orologio biologico del pianeta ticchetta rumorosamente, manda segnali chiari, ma finora abbiamo fatto orecchie da mercante (in senso stretto).

Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha fornito una sconcertante serie di dati, definendo l’attuale situazione una «emergenza oceanica». Cosa bisogna fare è noto, ma poco vantaggioso nel breve periodo e sembra questo il problema: bisogna cominciare a pensare sul lungo termine. Cosa che non abbiamo fatto nei decenni scorsi. Anche per questo intervenendo al Forum della Gioventù e dell’Innovazione, che si era concluso a Carcavelos il giorno prima dell’inizio della Conferenza di Lisbona, Guterres ha chiesto pubblicamente scusa per lo stato in cui sono stati lasciati i mari ai giovani. «La mia generazione e coloro che erano politicamente responsabili, come è il mio caso, sono stati lenti o talvolta riluttanti a riconoscere che le cose andavano sempre peggio in questi tre ambiti: oceani, clima e biodiversità. E anche oggi ci muoviamo troppo lentamente in relazione alla necessità di invertire la minaccia, ripristinare gli oceani, salvare la biodiversità e fermare i cambiamenti climatici. Stiamo ancora andando nella direzione sbagliata».

Almeno, però, ora sappiamo cosa fare e abbiamo riconosciuto che esiste un problema, che è il primo passo per provare a risolverlo. Il percorso è segnato, è chiaro, ma non è né facile, né indolore. Per prima cosa, è importante che gli investimenti sugli oceani e lo sfruttamento delle loro risorse vengano effettuati in maniera sostenibile. «Ciò potrebbe aiutare l’oceano a produrre fino a sei volte più cibo e generare 40 volte più energia rinnovabile di quanto non faccia attualmente», ha detto Guterres. Inoltre sarà importante replicare le strategie che hanno funzionato in passato per salvaguardare aree circoscritte e riadattarle su una scala più ampia. Il segretario generale ha anche chiesto una maggiore protezione delle acque, soprattutto per migliorare la vita delle persone che dipendono direttamente da mari e oceani. Il 40 per cento della popolazione mondiale vive in zone costiere, è quindi fondamentale affrontare il cambiamento climatico investendo in infrastrutture capaci di resistere all’attuale emergenza e al possibile peggioramento della situazione. Ma per fare tutto ciò servono anche strumenti nuovi e per questo Guterres ha evidenziato la necessità di intensificare la ricerca scientifica nel settore e di puntare sull’innovazione per condurre l’umanità verso quello che ha definito un «nuovo capitolo dell’azione oceanica globale».

«Save our ocean, protect our future» è lo slogan scelto in occasione della Conferenza. Comprendere il significato della parola «our» sarebbe un buon inizio.

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