La demografia (sostantivo composto da due parole greche, traducibili con “popolo” e “scrittura”) è la scienza che ha come oggetto di studio le popolazioni umane, la loro consistenza, composizione ed evoluzione. Concentrandosi soprattutto sugli aspetti quantitativi, si avvale di una serie complessa e variegata di indici statistici.

Con questa breve introduzione si intende premettere come questa scienza sia di per sé neutrale, proponendosi l’obiettivo di rilevare dati oggettivi, in termini sia di immediatezza che di tendenze prospettiche.

Al tempo stesso è altrettanto evidente come essa finisca per influire sulla valutazione che gli analisti di questioni internazionali effettuano nei confronti di un determinato Paese o di un’intera regione geografica. Accanto ad altri indicatori, quali il Prodotto interno lordo (Pil) complessivo, il reddito medio pro capite, il livello di scolarità, la libertà di stampa o l’accessibilità ai servizi pubblici, il trend dell’aumento o della decrescita della popolazione riveste infatti un peso specifico rilevante nel giudizio di detti specialisti.

Prendendo ad esempio due protagonisti dell’attualità mondiale, l’annunciato, prossimo sorpasso, in termini di popolazione, dell’India nei confronti della Repubblica popolare cinese ha assunto i connotati della indiretta conferma del maggior dinamismo dell’economia di Delhi rispetto a Pechino, lasciando in prospettiva intravvedere, in quel fondamentale continente, un non lontano passaggio di leadership.

Dal punto di vista qui considerato, in Europa, culla di quei fondamenti della democrazia e del rispetto dei diritti dell’Uomo costantemente “valorizzati” nei rapporti con gli Stati terzi, la situazione induce a preoccupazioni tanto serie quanto fondate. Secondo i più recenti dati di Eurostat, il centro di statistica ufficiale dell’Unione europea (Ue), da svariati anni ormai il tasso di fecondità medio si mantiene molto al di sotto della cosiddetta “soglia di rimpiazzo” del 2,1 figli per donna, in quanto sceso al valore di 1,46. Una circostanza che trova puntuale conferma nel fatto che nel decennio 2013/2023 nell’area Ue il saldo fra le nuove nascite e i decessi è stato negativo (meno 1,3 milioni di persone).

Di conseguenza, se nel periodo sopra considerato la popolazione residente è andata aumentando, il “merito” è da ascrivere esclusivamente al consistente afflusso di popolazioni immigrate, in primis dai Paesi del Nord Africa e dell’Asia, ai quali - dopo la criminale aggressione russa di inizio 2022 - si sono andati aggiungendo i massicci flussi provenienti dall’Ucraina. Il censimento più aggiornato riporta 448,8 milioni di persone residenti sul territorio europeo, con un incremento di oltre 7 milioni rispetto al 2013. In termini complessivi, quanto sopra si traduce in una incidenza del 9 per cento sulla composizione della popolazione mondiale, una percentuale lontanissima dal 25 per cento registrato a inizio 1900.

Premesso che il trend negativo è comune a tutti i 27 stati membri, gli indici nazionali di fecondità media si mantengono più elevati negli Stati di più recente ingresso nella Ue, con la sola eccezione rappresentata dalla Francia in grado, anche grazie a politiche sociali e di tutela della famiglia innovative ed efficaci, di attestarsi su un non trascurabile indice di 1,79.

Come detto il fattore demografico rientra nelle rilevazioni statistiche stilate per recensire la “positività” di un determinato sistema-Paese. Di tale fattore non sembrano aver tenuto conto gli esperti che hanno recentemente classificato la Finlandia - nazione con un tasso di fecondità ben al di sotto della già preoccupante media europea (1,32 rispetto al 1,46) - come il Paese europeo «più felice». Forse consapevoli delle contraddizioni insite in tale analisi, le autorità scolastiche finlandesi sono giunte a proporre l’assegnazione dei posti resisi vacanti all’interno delle classi scolastiche a bambini provenienti dai Paesi in via di sviluppo.

E che dire dell’Italia? Il nostro Paese (e in questo caso facciamo riferimento ai dati Istat) rappresenta uno dei fanalini di coda della demografia europea, sulla base di un tasso di fecondità (1,24) fra i più bassi in assoluto, che ha comportato nel periodo 2014/2022 la perdita sul territorio della Penisola di quasi due milioni di abitanti (da 60,8 a 59 milioni). In ambito mondiale da 10º Paese più popoloso (nel 1950) la Penisola è retrocessa all’attuale 25º posto, con un minimo storico di 380,000 nascite per il 2023.

Uno dei rimedi può può essere identificato nell’adozione di ampi e forward looking provvedimenti normativi, non solo in campo sociale, educativo o sanitario ma anche “culturale”, in grado di invertire la curva.

Ritornando alla dimensione continentale, il quesito di fondo da porsi è se è nostra intenzione affidare a generazioni numericamente sempre più ridotte l’arduo compito di far valere verso l’esterno quei valori politici, comportamentali, etici e morali nei quali, come europei, pienamente ci identifichiamo. Quanto precede in un contesto globale non certo facile e, anzi, per certi versi “ostile” perché connotato dall’inquietante avanzata di regimi totalitari e dal diffondersi di fenomeni naturali potenzialmente devastanti. La risposta negativa dovrebbe apparire evidente.

 

Il Reggente, Marco Marsilli

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