IL PAPA IN IRAQ

 

Nel migliore dei casi, quando qualcuno non ci piace ci diciamo tolleranti. Come se “tollerare” fosse un pregio. Già ignorare sarebbe un passo avanti. Da lì si potrebbe partire per quel lungo viaggio verso il dialogo che passa per la conoscenza.

Ci vuole tempo. La distanza che separa la tolleranza dall’accoglienza è molta. Anche la Chiesa cattolica ha impiegato parecchio a imboccare quella strada e non si può dire che il percorso sia stato completato. La questione però è in cima all’agenda di Papa Francesco che il 3 marzo scorso, due giorni prima di partire per il suo viaggio apostolico in Iraq, ha chiarito il punto di vista della Santa Sede: «Vengo come pellegrino di Pace in cerca di fraternità, animato dal desiderio di pregare insieme e di camminare insieme, anche con i fratelli e le sorelle di altre tradizioni religiose, nel segno del padre Abramo, che riunisce in un’unica famiglia musulmani, ebrei e cristiani».

Parole importanti, come quelle di altri Pontefici che hanno puntato sull’origine comune dei monoteismi negli scorsi decenni. Proprio raccogliendo quegli inviti tra il 2008 e il 2012 la Fondazione ha promosso un concorso di composizione, “Strumenti di Pace”, che chiedeva ai partecipanti di trovare una sintesi tra le culture abramitiche mettendo in musica versetti tratti da Antico Testamento, Vangeli e Corano.

Nel caso di Bergoglio si può dire che quello che è culminato con la visita in Iraq è un processo avviato già dall’inizio del suo pontificato.

Siamo tutti sulla stessa barca e ci conviene remare coordinati Nessuno si salva da solo

Lo scopo è sempre stato quello di rafforzare la “fraternità umana”, il modo in cui i credenti chiamano il dialogo e la comprensione reciproca. Certo però che in questi ultimi anni c’è stata un’accelerazione. Nel 2019 la visita negli Emirati Arabi Uniti ha portato alla firma del Documento sulla fratellanza umana per la Pace mondiale e la convivenza comune, siglato da Francesco insieme con il grande imam Al-Tayyeb di Al-Azhar. Poi è stata la volta del Marocco con l’appello per la città di Gerusalemme firmato assieme al re Mohammed VI. Nello stesso periodo il Papa ha proposto il tema anche a Paesi come Thailandia e Giappone.

Il messaggio è lo stesso per tutti ed è stato lanciato ripetutamente anche durante i 15 mesi di forzata immobilità causata dalla pandemia. Un esempio è la preghiera del 27 marzo dello scorso anno in piazza San Pietro, durante la quale Francesco ha ribadito che siamo tutti sulla stessa barca e che ci conviene remare coordinati: nessuno si salva da solo. Il 3 ottobre del 2020 l’enciclica Fratelli tutti sistematizzava il pensiero. L’invito all’amicizia sociale è concreto e riguarda ogni uomo e ogni donna, credente o non credente. Lo strumento da utilizzare è il dialogo. Per essere ancora più esplicito il 4 febbraio Bergoglio ha partecipato virtualmente alla prima Giornata mondiale della Fratellanza umana indetta dalle Nazioni Unite e lì non ha lasciato dubbi: «O siamo fratelli, permettetemi, o crolla tutto. È la frontiera... sulla quale dobbiamo costruire; è la sfida del nostro tempo». La tolleranza non basta.

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