ACCADE ALL’ONU
A RISCHIO LA SICUREZZA ALIMENTARE

 

Le bandierine nazionali apposte sulle confezioni dei prodotti sono solo una trovata pubblicitaria. Una filiera interamente riferibile a un Paese è un’utopia, nemmeno tanto auspicabile.

L’autarchia, di funesta memoria, non è mai esistita e il made in qualsiasi luogo può essere uno stile, ma non una provenienza, e quasi mai significa che tutti i componenti, gli ingredienti, o le parti di un prodotto vengano coltivati o costruiti in una determinata area geografica. La cosa diventa evidentissima quando il flusso delle merci viene messo a rischio, come sta accadendo in questo periodo a causa dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma non basta, anche se un Paese fosse in grado di produrre autonomamente una determinata merce, cosa altamente improbabile, per farlo avrebbe bisogno di energia che spesso viene importata, almeno in parte. Insomma, magari non sarà vero che «un battito d’ali di una farfalla in Brasile provoca dopo qualche tempo un uragano in Texas», come sostengono quei bontemponi della teoria del caos, ma sicuramente da un guasto a una centrale nucleare che ritenevamo lontana, a una guerra, passando attraverso tutti gli stadi intermedi, tutto ci ricorda che finché viviamo sullo stesso pianeta siamo interdipendenti.

Chi non ne fosse ancora convinto può verificarlo andando dal benzinaio, dove potrà verificare che il prezzo dei carburanti dipende da una complesso bilanciamento politico mondiale, o pagando le “bollette della luce“, che non sono dogmaticamente stabili, ma legate alle decisioni che vengono assunte all’Onu, al Consiglio d’Europa, all’Unione Europa, alla Nato, o al Cremlino, che si rivela nient’affatto lontano. Ma se pensiamo che fare il pieno dell’automobile sia il problema maggiore, rischiamo di sbagliare. Pare infatti che a rischio sia il pane quotidiano, e non in senso figurato. Qu Dongyu, direttore generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, la Fao, ci ha recentemente ricordato che «la Russia è il principale esportatore di grano al mondo e l’Ucraina il quinto. Insieme, garantiscono il 19 per cento della produzione globale di orzo, il 14% della produzione di grano e il 4% del mais, contribuendo a oltre un terzo delle esportazioni globali di cereali. Sono, inoltre, i principali fornitori di colza, oltre a coprire il 52% del mercato mondiale delle esportazioni di olio di semi di girasole. Particolarmente concentrato è anche il mercato mondiale dei fertilizzanti, di cui la Russia è il fornitore principale».

Nel febbraio 2022 i prezzi, già in crescita dalla seconda metà del 2020, hanno raggiunto livelli record

Le restrizioni alle esportazioni imposte a Mosca avranno quindi significative ripercussioni sulla sicurezza alimentare, soprattutto per i circa cinquanta Paesi che dipendono da Russia e Ucraina per oltre il 30 per cento dell’approvvigionamento di grano. E siccome piove sempre sul bagnato in molti casi, si tratta di aree geografiche meno avanzate o a basso reddito che già subiscono un deficit alimentare: Africa settentrionale, Asia o Vicino Oriente. L’Occidente non deve ritenersi però troppo al sicuro perché numerosi Paesi europei fanno affidamento sulla Russia per il 50 per cento delle loro forniture di fertilizzanti, e una penuria di tali prodotti potrebbe protrarsi fino al prossimo anno.

Non servono commenti ai dati forniti dalla Fao: «Nel febbraio 2022, i prezzi alimentari, già in crescita dalla seconda metà del 2020, hanno raggiunto livelli record. Nel corso del 2021 grano e orzo hanno subito un rincaro del 31%, mentre le quotazioni dell’olio di colza e dell’olio di semi di girasole sono salite di oltre il 60%. L’elevata domanda e la volatilità dei prezzi del gas naturale hanno spinto verso l’alto anche il costo dei fertilizzanti».

La Russia riveste inoltre anche una posizione dominante nel mercato energetico planetario, essendo responsabile del 18 per cento delle esportazioni globali di carbone, dell’11% di quelle di petrolio e del 10% di quelle di gas. Il settore agricolo richiede un consumo energetico elevato. Il problema è evidente e la Fao, per voce del suo direttore generale, prova a proporre qualche soluzione.

Bisogna evitare reazioni emotive e valutare gli effetti di lungo periodo prima di mettere in atto qualsiasi misura

In primo luogo si deve fare il possibile «per proteggere la produzione e le attività di marketing necessarie per rispondere alla domanda interna e a quella internazionale» e «a tal fine, sarà necessario proteggere le coltivazioni, gli allevamenti, le infrastrutture di trasformazione degli alimenti e tutti i sistemi logistici ancora intatti». Poi però bisognerà «trovare un gruppo di fornitori di generi alimentari nuovo e diversificato», e questa è una sollecitazione che da tempo arriva da chiunque si occupi dell’argomento. Non è una questione economica, ma politica. In momenti di emergenza come questi, sottolinea ancora la Fao, «i governi devono espandere le proprie reti di protezione sociale per tutelare le persone vulnerabili. In Ucraina le organizzazioni internazionali devono intervenire per aiutare a raggiungere i più bisognosi, tenendo conto che in tutto il mondo aumenterà il numero degli individui colpiti dalla povertà a causa del conflitto: dobbiamo, quindi, fornire loro programmi tempestivi e mirati di protezione sociale».

In situazioni come queste bisogna pensare sia al futuro, sia all’immediato. Non è facile tenere assieme le due prospettive, ma qualcosa bisogna partire. Intanto nei prossimi anni e decenni dovremmo rafforzare la trasparenza e il dialogo. «Una maggiore informazione sulle condizioni dei mercati mondiali aiuterebbe i governi e gli investitori a prendere decisioni informate nei periodi di volatilità. Iniziative come il Sistema di informazione sui mercati agricoli del G-20 aumentano la trasparenza, fornendo valutazioni obiettive e puntuali», rileva Qu Dongyu aggiunendo che nell’immediato, è meglio evitare reazioni emotive e «valutare gli effetti sui mercati internazionali prima di mettere in atto misure tese a garantire le forniture alimentari». Per fare un esempio pratico, si fa notare che «una riduzione delle tariffe d’importazione o il ricorso a restrizioni alle esportazioni potrebbe aiutare a risolvere problemi di sicurezza alimentare in un singolo Paese nel breve periodo, ma provocherebbe un aumento dei prezzi su scala mondiale». Appunto siamo tutti interdipendenti.

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