Il progetto «ReArm Europe», presentato a inizio marzo dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e adottato a grande maggioranza dal Parlamento di Strasburgo, ha, come era facilmente prevedibile, provocato reazioni tutt’altro che univoche nelle opinioni pubbliche dei 27 Stati membri, esemplificate in partecipate manifestazioni di piazza, a sostegno o in opposizione al progetto.
Ottocento miliardi di Euro appaiono, in effetti, una somma decisamente consistente e il timore di molti, in Italia e altrove, è che essi finiscano per essere “sottratti” a settori civili prioritari, quali la sanità, l’educazione, l’ambiente, in una parola a quella articolata rete di welfare di cui il vecchio Continente va giustamente fiero, e che resta un valido strumento di riduzione delle disuguaglianze e di inclusione sociale.
Proseguendo nel ragionamento, viene inoltre spesso osservato come già oggi le Forze armate dei 27 ricevano finanziamenti tutt’altro che trascurabili, considerata la circostanza che la loro somma complessiva sia superiore (e non di poco) allo stanziamento riservato dalla Federazione Russa al proprio esercito, come noto da tre anni impegnato in una dispendiosa (oltre che criminale) guerra di aggressione nei confronti del vicino ucraino.
In realtà il grande motivo di vulnerabilità degli eserciti europei (declinati al plurale) è soprattutto da ascrivere all’impossibilità di uscire dalla logica delle Forze armate nazionali. Ciò si traduce, inevitabilmente, in inefficienze, duplicazioni (appare invero sconcertante la presenza, nel territorio europeo, di ben 12 modelli diversi di carro armato!) e di mancata razionalizzazione dei costi.
D’altronde, essendo assente nell’esecutivo di Bruxelles la figura del Commissario alla Difesa (di tanto in tanto evocata dalla presidente von der Leyen senza alcun seguito pratico) a chi sarebbe possibile affidare l’impegnativo compito di coordinare le basi di un futuro esercito europeo, unificando catene di comando e procedure operative consolidate da decenni di pressoché completa autonomia decisionale?
A un discorso sin qui “inter-europeo” è venuta molto recentemente ad aggiungersi anche una considerazione di diverso tenore, provocata dallo “storico” (nella sua connotazione più negativa, ovviamente) incontro di fine febbraio alla Casa Bianca fra il presidente Donald Trump e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky, il quale ha iniziato il suo colloquio all’Oval Office in veste di alleato degli Stati Uniti lo ha concluso da «persona poco gradita».
Al di là della erraticità di comportamento del 47o Presidente degli Stati Unii (manifestatasi con evidenza anche su altri dossier, come i dazi), l’episodio sopra accennato lascia planare più di un dubbio sul fatto che da parte di Washington si proseguirà a tempo indeterminato in quell’atteggiamento di “benevola accondiscendenza” tradottosi dal dopoguerra ai giorni nostri in un’assunzione, da parte dell’Uncle Sam di gran parte degli oneri della nostra difesa, in particolare grazie all’ombrello della Nato, essenziale tanto in passato durante la “Guerra Fredda” quanto oggi per garantire la Pace e la sicurezza di fronte alle “minacce ibride” in un’area geografica attualmente sottoposta a varie scosse, sui versanti orientale e mediterraneo.
Su questo sfondo, l’Europa commetterebbe una grave leggerezza se proseguisse la linea del business as usual e non si attrezzasse in maniera seria per far fronte con proprie accresciute capacità a ipotesi di aggressioni esterne.
Il «ReArm Europe» (sigla infelice, va riconosciuto) potrebbe essere pertanto utilizzato come sprone (e al tempo stesso come monito) per trasferire progressivamente dalle 27 capitali nazionali e Bruxelles le materie attinenti alla difesa, permettendo all’Unione Europea di andare oltre la sua, pur formidabile, success story in campo economico e sociale, e di creare una base, per intanto, per la creazione in futuro degli Stati Uniti d’Europa.
Un’evoluzione, ne siamo convinti sfidando le opinioni contrarie, di cui le giovani generazioni sarebbero le prime a beneficiare.
Il Reggente, Marco Marsilli


