PER CHI SUONA LA CAMPANA - P17

 

«La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita» scriveva Cicerone. Se i classici servono a qualcosa è perché ci aiutano a capire il presente, e anche la storia, persino una vicenda di molti secoli dopo, come quella che vide la Campana dei Caduti al centro di una polemica. Del resto anche oggi molti monumenti accedono al dibattito pubblico mettendo alla prova la coesione di una comunità, e a volte le sue contraddizioni. Basti pensare alle statue di Colombo abbattute in America, ma questa è un’altra storia.

La controversia che riguarda Maria Dolens ebbe inizio con le dichiarazioni del nuovo Reggente, padre Iori, che propose il trasferimento della Campana dal Castello a una sede “più adeguata”. La motivazione era tecnica: il bastione Malipiero, risalente al periodo medievale, non era in grado di sostenere il peso e le vibrazioni della nuova Campana, che sarebbe stata più grande della precedente. Inoltre, l’aumento del numero dei visitatori imponeva una riflessione sugli spazi disponibili. I dati erano chiari: ogni anno oltre 120.000 persone andavano ad ammirare quello che restava un simbolo, ma era diventato anche un monumento. L’afflusso superava le capacità di ricezione del Castello e quindi non c’era altra scelta.

L’opposizione fu immediata e venne prima di tutto dalla direzione del Museo Storico della Guerra, situato all’interno della struttura e principale beneficiario degli introiti derivanti dalle visite alla Campana, in virtù di un accordo siglato nel 1928 e riconfermato più volte. Ma non si trattava solo di una questione economica, c’era in gioco anche il rispetto della volontà dell’ideatore di Maria Dolens, che immaginava la Campana situata accanto ai simboli della città e dell’Europa. Tucidide aveva visto lontano quando scriveva che «la storia è una continua lotta tra conservazione e cambiamento», e anche in questo caso la scelta tra memoria e necessità pratica fu il cuore del problema.

Nel tentativo di trovare una soluzione, il sindaco di Rovereto, Maurizio Monti, convocò il 15 marzo 1961 i rappresentanti delle due istituzioni allo scopo di mediare e raggiungere un accordo. Dopo lunghe trattative, si stabilì che i due enti non dovessero interferire l’uno con l’altro. Il tentativo era meritorio, ma le tensioni non si placarono. Il presidente del Museo, Livio Fiorio, ipotizzò addirittura un ricorso alla magistratura, provocando una crisi interna che lo portò alle dimissioni nel 1963. Il sindaco avvio così una nuova mediazione, che condusse alla firma di un documento nel quale si affermava ancora una volta che la Campana era un simbolo di Pace e di memoria collettiva.

Intanto padre Iori portava avanti il suo progetto. Il 20 marzo 1961, il Comitato Esecutivo della Reggenza firmò il contratto con la fonderia dell’ingegnere Paolo Capanni di Castelnovo ne’ Monti per la rifusione della Campana.

Nel frattempo, il Congresso Nazionale dei Lions Club, riunito ad Alghero, si impegnò a finanziare interamente l’operazione. «Chi possiede denaro, possiede potere», scriveva Machiavelli, ma dipende tutto da come lo usi potremmo chiosare oggi. In ogni caso il supporto economico permise di superare l’impasse.

Ma prima di avviare la rifusione c’era da affrontare la questione della dismissione della “vecchia” Campana. Il trasferimento avvenne all’alba del 20 maggio 1961 e non fu privo di difficoltà. I lavori di rimozione, iniziati il giorno precedente, si protrassero così a lungo che la folla accorsa per salutare Maria Dolens si disperse prima dell’evento. Il giorno successivo, un quotidiano locale titolava amaramente che la Campana aveva lasciato Rovereto «insalutata ospite». Ma non era ancora finita: il viaggio di trasferimento verso la fonderia fu lungo e pian piano si trasformò in una sorta di pellegrinaggio, con tappe in diverse città italiane. Entusiasmo, onori.

Prima o poi il viaggio doveva finire. Era ora di guardare al futuro. La fonderia emiliana si mise al lavoro. Restava però aperta la questione della nuova sistemazione della Campana, anche perché negli anni precedenti la Sovrintendenza alle Belle Arti di Trento aveva bocciato proposte di modifica dell’area circostante il Castello. Quindi la vecchia sistemazione non avrebbe potuto in alcun modo ospitare la nuova Campana.

Padre Iori aveva già individuato il luogo dove trasferire Maria Dolens, si trovava a sud-est della città. Sulla mappa c’era scritto Valscodella che come nome non poteva andare bene.Con un tratto di penna il reggente cancellò la dicitura e vergò sicuro «Miravalle». Nessuno si oppose. Del resto basta salire anche oggi fino alla sede della Fondazione per ammirare con un solo sguardo tutta la piana di Rovereto e un bel pezzo della Val Lagarina.

A quel punto si trattava di creare la struttura per accogliere la Campana. Il 4 gennaio 1962 venne bandito un concorso. Lo vinse l’architetto Mario Kiniger che aveva pensato a una torre stilizzata alta 67 metri all’interno della quale sarebbe stato collocato il simbolo della Pace all’altezza di 15 metri dal suolo. Non si poteva fare per ragioni tecniche. Il progetto venne bocciato dalla commissione edilizia comunale. Nuovo concorso, marzo 1964, l’architetto roveretano Luciano Baldessari pensa in grande e immagina la Campana sospesa sopra un laghetto artificiale per riflettere le onde sonore e convogliarle verso una vela semicircolare in grado di farle arrivare in tutta la città. Non si poteva fare nemmeno questa, disturbava le linee architettoniche dell’Ossario dei caduti che si trova poco distante dal luogo del nuovo monumento. Sembrava che gli architetti avessero dato maggiore importanza alle strutture che dovevano accogliere la Campana più che alla Campana stessa. La cornice, insomma, sembrava fosse diventata più importante e attraente del quadro. E in fondo le polemiche sul trasferimento non erano ancora placate.

Padre Eusebio Iori

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