Vorrei dedicare la mia riflessione mensile a un evento ad altissima rilevanza, sia politica che mediatica, che ha avuto luogo il giorno dell’Epifania a Washington.

Tutti noi abbiamo, credo, accompagnato con crescenti incredulità e orrore le immagini, veicolate in tempo reale dalle Tv di tutto il mondo, della assurda violenza abbattutasi a opera di una scatenata folla di “suprematisti” su una delle istituzioni simbolo degli Stati Uniti, il Congresso, convocato in quelle ore per certificare l’affermazione del candidato democratico Joe Biden alle elezioni presidenziali del 2 novembre.

Alle Commissioni di inchiesta (e, più tardi, agli storici) spetterà il compito di esaminare cause e responsabilità di quanto accaduto in quel drammatico 6 gennaio. Il presidente uscente (nel frattempo sottoposto a un’umiliante procedura di “impeachment”) incapace di accettare il chiaro verdetto delle urne, ha o no rivolto ai suoi fedelissimi un messaggio ambiguo, incitandoli a “farsi sentire” dal Congresso? Le autorità amministrative e di polizia preposte alla sicurezza del Campidoglio hanno, o meno, in un primo tempo sottovalutato il grado di minaccia dei facinorosi e, in corso d’opera, addirittura favorito il loro illegale ingresso nell’edificio? In entrambi i casi la risposta più che probabile è «sì», ma questo non basta a spiegare i motivi di un comportamento collettivo delirante, tenuto anche conto del fatto che gli assalitori non erano integralisti islamici desiderosi di seminare una volta di più il terrore in Occidente, ma proud americans, americani fieri di esserlo. A ulteriore conferma di quanto precede, la vandalizzazione di Capitol Hill è avvenuta in mezzo a un ostentato brandire di bandiere e vessilli a stelle e strisce.

Un’eventuale spiegazione potrebbe consistere nella ferma convinzione dei manifestanti - rafforzata dai discorsi dell’allora occupante la Casa Bianca e della stampa fiancheggiatrice - circa la truffa elettorale di cui sarebbe stato vittima, su scala nazionale, il presidente Trump, associata alla volontà di non riconoscere più nel Congresso uno dei centri legittimati del potere costituito. Interpretazione che non può, peraltro, trovare un qualche fondamento, se si considera la presenza negli Stati Uniti di procedure elettorali consolidate e trasparenti così come di organi di informazione liberi e di accesso immediato a tutti.
Per una tragica ironia del destino, non è certo poi sfuggito il fatto che due delle cinque vittime risultano essere ex militari, con alle spalle esperienze anche in Iraq e Afghanistan. Accomunati dalla volontà, in quelle difficili aree di crisi, di difendere con orgoglio e determinazione gli interessi del loro Paese, nella capitale federale sono caduti inseguendo obiettivi opposti, in un caso la difesa del Congresso, nell’altro la sua profanazione.

Su questo inquietante scenario di fondo, due considerazioni finali mi sembrano imporsi:

  1. il totale ripudio delle recenti violenze di Washington richiama per contrasto alla memoria l’immagine “armata” degli Usa alla quale guarderemo con profonda e duratura riconoscenza. Quella, cioè, collegata al coinvolgimento degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale, conclusosi con la liberazione del continente europeo dai regimi di oppressione e tirannia sino a quel momento in vigore;
  2. la certezza che il rapporto Stati Uniti - Paesi dell’Unione Europea continuerà a rappresentare l’asse portante del sistema di relazioni internazionali, garantendo anche alle nuove generazioni elevati livelli di democrazia, libertà civili e progresso economico.

Perché questo accada, alle dirigenze politiche di entrambi i lati dell’Atlantico, a partire dalla nuova Amministrazione a Washington, non dovranno venire mai meno doti di competenza, responsabilità e affidabilità

 

Il Reggente Marco Marsilli

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