WORLD FOOD PROGRAMME
IL RAPPORTO DIRETTO TRA STABILITÀ POLITICA E SICUREZZA ALIMENTARE

 

Parecchi bambini vanno a letto senza cena anche se non hanno combinato guai. Qualche volta saltano anche il pranzo. Della colazione non si parla nemmeno. I genitori sono persone normali, vogliono il meglio per i figli, e in certe zone del mondo il meglio è avere due pasti al giorno e acqua pulita, non importa che sia calda, basta sia potabile. Sembra scontato dalle nostre parti, dove il problema principale è l’obesità, ma non lo è per quasi 700 milioni di persone che ogni giorno vanno a letto a stomaco vuoto.

Lavorerebbero volentieri se avessero un pezzo di terra da coltivare e l’acqua per irrigarlo. Con ancora più entusiasmo se nel frattempo nessuno li bombardasse o se a ogni colpo di zappa non esplodesse una mina antiuomo piazzata da qualche gruppo armato per fermare l’avanzata di bambini soldato. Lavorerebbero ma non possono perché tutt’attorno si spara.

Se non lavori non mangi. Se non mangi non ragioni e dopo un po’ sei disposto a tutto, anche a combattere, ad assediare città e a mettere in fuga gente affamata come te. È un circolo vizioso, perché nemmeno chi scappa ha scorte alimentari sufficienti, e se correndo trova un fucile lo prende in mano e poi... E poi se non hai la cena da dare a tuo figlio spari.

Guerra e fame vanno di pari passo. Quasi il 60 per cento delle persone che non mangiano regolarmente vive in aree dove si registrano conflitti armati. E sono proprio gli scontri tra Paesi o fazioni contrapposte a rappresentare il maggiore ostacolo al raggiungimento di “Fame zero”, il secondo dei diciassette obiettivi che nel 2015 la comunità internazionale ha adottato allo scopo di puntare a uno sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030. Siamo parecchio in ritardo e ce ne occupiamo troppo poco perché nelle aree dove il problema è il sovrappeso la malnutrizione non è al centro dell’agenda politica. In particolare è scarso l’impegno per la promozione di un’agricoltura sostenibile. Su questo si sta concentrando il World Food Programme, che nel 2020 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace proprio perché lavora su pane e acqua, i due strumenti principali da utilizzare per fermare le guerre.

Guerra e fame vanno di pari passo. Quasi il 60 per cento delle persone che non mangiano regolarmente vive in aree dove si registrano conflitti armati

Ma la strada è lunga perché, oltre a chi non mangia proprio, c’è anche chi vive in un regime di insicurezza alimentare acuta. Nel 2019 si sono contati 135 milioni di individui, distribuiti in 55 Paesi, che hanno questo problema. Un numero ancora superiore di persone, una su tre, soffre di qualche forma di malnutrizione. Le ripercussioni sono gravissime. La mancanza di cibo non solo incide sulla salute dei singoli, ma rallenta anche il progresso economico e l’istruzione di tutti. Se sei povero e non puoi nemmeno studiare le possibilità di migliorare le tue condizioni di vita sono ridotte quasi a zero. Difficilmente riuscirai a incrementare le entrate della tua famiglia e a vivere serenamente senza odiare nessuno perché pensi ti stia portando via qualcosa che ti appartiene. Poche risorse significa più guerre, ed è per questo che l’assistenza a chi è intrappolato in aree di conflitto armato, a chi vive sotto assedio o è in fuga dopo avere abbandonato la propria casa distrutta dai bombardamenti, non è solo solidarietà, ma anche un passo verso la Pace, un modo per dare una speranza e attenuare ulteriori tensioni che in breve tempo potrebbero trasformarsi in nuovi scontri.

Fame e guerra sono gemelle siamesi, di quelle che nessun chirurgo può separare. O le combatti assieme o vieni risucchiato in un vortice senza via di scampo. «I conflitti possono causare insicurezza alimentare e fame, così come fame e insicurezza alimentare possono infiammare conflitti latenti e scatenare violenze», ha sottolineato il Norwegian Nobel Commitee nella motivazione del premio assegnato al World Food Programme. E purtroppo non è nemmeno una cosa nuova, lo sapevamo già. Sta scritto nero su bianco nella Risoluzione 2417 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottata nel maggio 2018, dove si sottolinea che senza un cessate il fuoco generalizzato il mondo non riuscirà mai a risolvere il problema della nutrizione. Lo stesso testo vieta di utilizzare la fame come arma di guerra, mettendo al bando una pratica odiosa basata sull’assedio di intere popolazioni alle quali viene impedito di accedere a rifornimenti di cibo per sfiancare i combattenti e convincerli ad arrendersi. Anche questa è storia vecchia, da Troia in poi le città assediate sono state centinaia. Da più di duemila anni Omero ci racconta che alla fine perdono tutti, ma non ci è bastato. Ci ha provato pure Charlie Chaplin nel discorso all’umanità del Grande dittatore, ma l’Iliade è lunga e i cinema sono chiusi.

La mancanza di cibo non solo incide sulla salute, ma rallenta anche il progresso economico e l’istruzione

Resta il fatto che le aree a rischio sono molte e i fondi per contrastare la crisi pochi. Nel 2018, quando la carestia si profilava nello Yemen, l’intervento internazionale evitò il peggio, ma oggi milioni di persone in alcune zone del Paese rischiano di nuovo di morire di fame. Lo stesso accade in altre nazioni teatro di conflitti, come la Repubblica Democratica del Congo, la Nigeria o il Sud Sudan. I risultati preliminari di una ricerca condotta congiuntamente dal World Food Programme e dallo Stockholm International Peace Research Institute su El Salvador, Iraq, Kirghizistan e Mali, sottolineano che anche lì si rischia grosso se non sarà possibile in tempi brevi un miglioramento dell’accesso alle risorse naturali. Acqua per irrigare, terra da coltivare, aria pulita da respirare e fuoco, non quello delle armi, quello delle cucine. Gli elementi per sconfiggere la guerra sono sempre gli stessi da qualche millennio. Omero lo diceva già tremila anni fa. Era cieco, ma certe cose le vedeva bene.

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