ARTE E PACE
NON SERVE UN ANNIVERSARIO PER PARLARE DI UNO SCRITTORE

 

Wole Soyinka è vivo e vegeto, è l’Uomo a essere morto. Lo sostiene lui stesso, premio Nobel per la letteratura nel 1986, in un libro che ha scritto in carcere, dal 1967 al 1969. Era stato arrestato per avere chiesto il cessate il fuoco durante la guerra civile in Nigeria che fece conoscere al mondo il Biafra. L’uomo è morto è un libro del quale non ricorre alcun anniversario, l’autore è in buona salute, e quindi è “normale” che non ne parli nessuno. I più lo faranno quando lo splendido ottantaseienne di Abeokuta che l’ha scritto volerà per altri lidi e diventerà un mito. Il coraggio di sfidare il potere per chiedere la pace, però, è sempre attuale e va ricordato ogni giorno senza aspettare ricorrenze speciali.

Dal 1967 al 1969 è stato in carcere per avere chiesto il cessate il fuoco durante la guerra civile in Nigeria

La riflessione di Soyinka prende l’avvio in un momento preciso, quello in cui, quasi vergognandosene, delle guardie carcerarie hanno preso a incatenargli le gambe eseguendo un ordine preciso: piegare la volontà di un uomo reo di avere chiesto la fine delle ostilità. Forse lo sapevano che legarlo non sarebbe bastato, forse erano solo agenti che lavoravano al servizio di una dittatura perché non potevano farne a meno, o perché non erano eroi. Di certo non lo fermarono.

Wole, come scrive Oreste del Buono nella prefazione alla prima edizione del libro in italiano, tiene il punto, rende complicata la vita agli aguzzini, conosce i “giochetti psicologici” degli interrogatori, sa come destreggiarsi fra gli sguardi curiosi e perplessi che fanno seguito allo spostamento da una prigione all’altra. È un idealista, non un ingenuo. È coraggioso, è uno scrittore e fa quello che sa fare: scrive e denuncia. La sua prosa è fatta di dichiarazioni esplicite al servizio di un’idea di pace attiva, esposta con veemenza, facendo nomi e cognomi.

Soyinka ha pagato in prima persona la difesa delle proprie idee contro la tirannia in Nigeria: è stato incarcerato, condannato a morte e costretto all’esilio dalla dittatura militare. Non è un eroe, però crede in quello che scrive e continua a farlo perché i problemi non sono ancora finiti. La popolazione di gran parte del suo paese resta in ostaggio di quotidiane violenze, soprattutto nelle regioni nordorientali teatro dell’azione di Boko-Haram, un gruppo islamista responsabile da anni di attacchi e attentati terroristici che hanno provocato migliaia di vittime, in massima parte civili. Nemmeno in questo caso Wole si è tirato indietro e non si è stancato di scrivere e parlare. Le sue parole non perdono d’efficacia con l’età e l’appello a mobilitarsi contro i terroristi è chiaro. Si tratta di una battaglia "che è proprio la nostra, prioritariamente la nostra", scrive. "Non possiamo rimanere con le mani in mano e guardare le nostre ragazze innocenti diventare schiave di teppisti e terroristi. Sarebbe tradire i nostri figli e consolidare l’attività di questi sequestratori". Questa volta non l’hanno arrestato.

wole soyinka

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