Il 10 aprile scorso la plenaria del Parlamento europeo ha varato, dopo anni di complessi dibattiti (le prime proposte risalivano al 2016) il nuovo «Patto per l’emigrazione e l’asilo». Nelle parole di Ursula von der Leyen, convinta sostenitrice della normativa approvata, «con il nuovo “Patto”, che introduce un meccanismo di solidarietà obbligatoria, nessun Paese sarà lasciato da solo. Le regole ora adottate renderanno più sicuri i confini esterni, proteggendo al contempo i diritti fondamentali delle persone».

Con tale sintetico ma al tempo stesso “denso” commento, la presidente della Commissione europea ha inteso valorizzare al massimo la portata del nuovo strumento giuridico, sottolineandone la capacità di armonizzare problematiche molto diverse, e sino a ieri in apparenza inconciliabili, vale a dire i diritti fondamentali dei migranti, i confini sicuri e la condivisione di responsabilità fra i 27 membri dell’Unione.

Tale dichiarazione, che suona rassicurante, se non altro per l’autorevolezza della fonte di provenienza, non ha peraltro impedito agli europarlamentari di esprimersi in Aula, al momento del voto, in maniera tutt’altro che univoca. Se, nella loro grande maggioranza, Popolari, Socialisti e Liberali si sono espressi a favore del nuovo Patto, ai due estremi dell’emiciclo, tanto a destra che a sinistra, il voto è risultato massicciamente contrario. Ne è conferma un risultato finale chiaro sì, ma che non si può definire plebiscitario (322 favorevoli, 266 contrari e 31 astenuti). Al frazionamento delle preferenze hanno finito per influire (l’esempio italiano è emblematico) anche consegne di voto spesso non provenienti dagli eurogruppi parlamentari di appartenenza, ma bensì dalle sedi di partito delle varie capitali.

Fra le voci critiche - ma questo non rappresenta di per sé una sorpresa - rientrano praticamente tutte le Organizzazioni non governative coinvolte nelle operazioni di search and rescue o di gestione dei migranti sulla terraferma. La più “intraprendente” tra queste, la «Abolish Frontex», è giunta a bloccare per qualche minuto il dibattito in Aula.

Alle sopra riportate positive valutazioni della presidente von der Leyen ha fatto per parte italiana eco il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, che ha in particolare evidenziato il «riequilibrio delle responsabilità» introdotto dal Patto. È infatti ampiamente noto come il regolamento Dublino III del 2014, attualmente in vigore, assegni ai Paesi cosiddetti di «primo ingresso» (tra cui il nostro) la gestione delle richieste d’asilo pressoché nella loro totalità.

Senza entrare in eccessivi dettagli o tecnicismi, il Patto si compone di nove provvedimenti, fra loro organicamente collegati. Attraverso il nuovo strumento legislativo vengono rafforzati i controlli alle frontiere, con apposite operazioni di screening pre-ingresso, e definite procedure comuni per la concessione (o, se del caso, la revoca) della protezione internazionale, con la previsione di un meccanismo di selezione fra gli aventi diritto all’asilo e coloro destinati invece a essere “restituiti” alle regioni di provenienza.

Il nuovo “pacchetto” predispone altresì centri di raccolta per verifiche sanitarie e di sicurezza e per facilitare la collaborazione fra Stati. Viene inoltre creata l'Eurodac, una banca dati biometrica dedicata che sarà gestita dalla stessa Unione Europea. Sul fronte della solidarietà i Paesi «non di prima linea» attueranno provvedimenti per accogliere sul proprio territorio un determinato numero di richiedenti asilo o, in alternativa, verseranno un contributo finanziario a quegli Stati «di primo ingresso» che si renderanno disponibili ad accettare un numero superiore di richiedenti asilo rispetto alla loro “quota” nazionale.

Riportando, come dato statistico, che le domande di asilo presentate in Europa nei primi sette mesi del 2023 sono state oltre 600.000, va altresì chiarito che prima di entrare definitivamente in vigore, il Patto dovrà superare il vaglio del Consiglio, vale a dire dei 27 governi dell'Unione. Tale scrutinio è previsto nelle prossime settimane con la prevedibile, ma non determinante, posizione contraria di Ungheria e Polonia. Più distante nel tempo (24 mesi) appare invece la messa a punto dei regolamenti nazionali di attuazione, al fine di permettere agli Stati membri di introdurre nei propri ordinamenti le necessarie misure di adattamento.

Per il suo carattere equilibrato e, a nostro avviso, condivisibile, affidiamo volentieri il commento conclusivo sul tema alla presidente dell’Europarlamento, la maltese Roberta Metsola: «Il Patto non risolverà magicamente tutti i problemi dall’oggi al domani e ci sarà ancora molto fa fare in materia di rimpatri e di collaborazione con i Paesi terzi. Però, adottandolo, abbiamo fornito una valida risposta a una delle maggiori preoccupazioni dei cittadini europei».

Come nostra osservazione finale, evidenziamo come il Patto, con un timing non sicuramente casuale ma frutto di un intenso lavoro di preparazione, sia stato approvato dall’Europarlamento alla vigilia, in pratica, del suo scioglimento. Nel mese di giugno (in coincidenza con la pubblicazione del presente numero della «Voce») i cittadini europei saranno chiamati alle urne per rinnovare le istituzioni comunitarie. Se, per una consolidata impostazione di fondo, è lungi da noi l’intenzione di esprimere preferenze per questa o quella forza politica, due auspici ci sembrano viceversa del tutto legittimi dato il loro carattere di neutralità.

Il primo – che smentirebbe previsioni per la verità tutt’altro che incoraggianti – riguarda la necessità di un consistente tasso di partecipazione al voto, come segnale di interesse e di identificazione dei cittadini dei 27 Paesi membri con le Istituzioni di Bruxelles. Il secondo è quello di riuscire a guardare oltre interessi contingenti e orizzonti limitati.

I quasi 360 milioni di elettori chiamati alle urne dovranno infatti esprimersi, prima di qualsiasi altra considerazione, sul modello di Europa cui desiderano in futuro far parte, tanto sul piano dei numerosi e variegati (economico/finanziari, social/culturali, politici) acquis comunitari, quanto sulla più opportuna collocazione del Continente in uno scenario internazionale in rapida e pericolosamente imprevedibile mutazione.

Non sono questioni, l’una e l’altra, di poco conto, e la risposta deve essere all’altezza di sfide che, nessuno escluso, ci coinvolgono tutti.

 

Il Reggente, Marco Marsilli

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