C’è sempre un po’ di imbarazzo quando ci si trova in una posizione di privilegio. Specialmente di fronte a un evento senza dubbio unico, per forza di cose storico, forse profetico. Quando si è aperta la grande vetrata e si sono spalancate le tende rosse, chi scrive si trovava sul braccio di Carlo Magno, a pochi metri in linea d’aria dalla Loggia delle Benedizioni sulla quale erano puntati gli sguardi di tutto il mondo. Guardando la Basilica di San Pietro il colonnato di sinistra porta il nome del fondatore dell’impero carolingio, che il giorno di Natale dell’anno 800, quando la Basilica vaticana non era ancora quella attuale, venne incoronato imperatore da Leone III. Per arrivarci bisogna scalare i gradini bui di una scala antica, che però si evita quando ci devono salire tre o quattrocento persone in pochi minuti, meglio prendere un montacarichi. È un po’ traballante, è vero, ma è sicuro. L’addetto consiglia ai più sensibili di non guardare verso il basso. Il “viaggio” è breve, il panorama è unico. Scendendo ci si ritrova in una sorta di museo a cielo aperto, con un numero di statue di santi superiore al tempo che puoi dedicare a contarle.

C’è da indossare una cuffia, aggiustare il microfono e andare in diretta assieme ad alcuni colleghi per raccontare lo spettacolo incredibile di decine di migliaia di persone che accorrono dopo avere visto o saputo della “fumata bianca”, un metodo che da secoli continua ad annunciare la stessa cosa, ogni volta nuova e antica allo stesso tempo: l’elezione del Papa. Il tempo sembra rallentare, l’attesa sta per finire. Tra poco si affaccerà. La regia “intima” di continuare a parlare fino al momento fatidico. Di colpo si tace. «Annuntio vobis gaudium magnum; habemus Papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Robertum Franciscum Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Prevost, qui sibi nomen imposuit Leonem Decimum Quartum».

Leone XIV. Il nome è la prima scelta di un Papa, quindi per capire da quale parte sta andando la Chiesa universale si comincia col vedere come ha agito il suo precedessore più vicino con lo stesso nome. Leone XIII è stato il Papa della Rerum Novarum, che in italiano si può tradurre con «Delle cose nuove», un pilastro della dottrina sociale della Chiesa. «Non può essere un caso», pensa il cronista con la cuffia, e lo dice, ma è tempo di tacere di nuovo, è il momento della benedizione: «La Pace sia con tutti voi! Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il Buon Pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di Pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, a tutte le persone, ovunque siano, a tutti i popoli, a tutta la terra. La Pace sia con voi! Questa è la pace del Cristo Risorto, una Pace disarmata e una Pace disarmante, umile e perseverante».

Cinque volte la parola Pace già all’inizio del saluto. Nemmeno questo può essere un caso. Non solo, la Pace deve essere «disarmata» e «disarmante» e già questo comincia a essere una indicazione chiara. Robert Francis Prevost, doppia cittadinanza statunitense e peruviana, il secondo Pontefice originario del continente americano, il primo proveniente dagli Stati Uniti d’America, il primo appartenente all’Ordine di Sant’Agostino, 70 anni il prossimo 14 settembre, sembra andare in una direzione precisa: costruire ponti con il dialogo e con l’incontro tra i popoli.

La finestra della loggia si chiude, la gente comincia a sfollare, centinaia di giornalisti e fotoreporter provenienti da tutto il mondo rimettono a posto i taccuini, spengono i computer, smontano obiettivi lunghi come quelli dei film di spionaggio, scendono col montacarichi e tornano a occuparsi delle solite notizie, quelle che riempiono i giornali quando un Papa non è morto da poco o un altro non è stato appena eletto. Intanto la diplomazia vaticana torna al lavoro, come aveva già fatto a margine del funerale di Francesco, senza troppo clamore, come è tipico dei diplomatici che sanno lavorare.

Il “rumore” lo fanno invece le parole pronunciate da Leone XIV qualche giorno dopo in Aula Paolo VI. Non è lontana dal braccio di Carlo Magno, è più in basso, a terra, non c’è bisogno di salire su un montacarichi traballante per raggiungerla, ma malgrado la semplicità dell’approccio i media sono meno attenti a cogliere i particolari. L’evento è finito, i grandi del mondo sono ripartiti. A volte si leggono i fatti della storia come se fossero uno spettacolo, il risultato è che dopo i titoli di coda in pochi verificano quello che accade dopo gli annunci.

Leone XIV intanto tiene la sua prima udienza generale, è il 21 maggio. Prima di salutare i presenti lancia un appello umanitario, ricordando la situazione «sempre più preoccupante» nella Striscia di Gaza, dove non cessano gli attacchi e la gente muore per la mancanza di cibo. Prevost chiede che venga consentito «l’ingresso di dignitosi aiuti umanitari» e invita tutti i fedeli a disarmare «il loro cuore». Ma non basta, certe cose erano state dette anche nei luoghi deputati alle mediazioni, nelle istituzioni multilaterali, che possono essere criticate e sicuramente migliorate, ma senza dimenticare i rischi che si correrebbero se non ci fossero.

Il centro della diplomazia mondiale dovrebbe essere, e forse non è abbastanza, il Palazzo delle Nazioni Unite a New York, ed è proprio lì che si era recato il 19 maggio il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, per chiarire quale sarà la strategia del nuovo pontificato. Sotto la guida di Leone XIV, la Santa Sede si impegna a lavorare al fianco dei rappresentanti delle Nazioni «per promuovere la dignità umana, proteggere i vulnerabili e costruire ponti dove altrimenti potrebbe prevalere la diffidenza», aveva detto il porporato in un discorso tenuto al Palazzo di Vetro durante un ricevimento organizzato dall’osservatore permanente della Santa Sede, l’arcivescovo Gabriele Caccia. La scelta di un nuovo Pontefice è un’opportunità «di rinnovamento, non solo per i cattolici ma per tutti coloro che cercano un mondo di maggiore giustizia, solidarietà e Pace», aveva aggiunto, auspicando che la Santa Sede e i rappresentanti delle Nazioni possano andare «avanti insieme, ispirati dalla speranza e dalla visione di Papa Leone», che già «nei suoi primi giorni da Successore di Pietro, ha espresso il suo profondo impegno a costruire ponti, sottolineando la necessità di incontrarsi, dialogare e negoziare». In un mondo «segnato da divisioni, conflitti e problemi globali urgenti - dal cambiamento climatico alle migrazioni, all’intelligenza artificiale», il Papa «ci chiama ad abbracciare una diplomazia dell’incontro, che ascolta con umiltà, agisce con compassione e cerca il bene comune sopra ogni cosa», aveva concluso Parolin.

Sembra chiaro dunque che il nome scelto, le prime parole, tutto quello che finora ha comunicato Leone XIV vadano nella direzione della Pace, una Pace costruita e non attesa.

 

mf

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