L’ETERNO CONTENZIOSO TRA INDIA E PAKISTAN
In un pianeta terra già teatro di due conflitti armati protratti nel tempo e di ripercussioni gravissime, in termini di numero di incolpevoli vittime civili, di entità di distruzioni materiali, di precarietà di equilibri geo-strategici e di barriere di odio fra i belligeranti difficili da rimuovere anche dopo gli auspicati cessate-il-fuoco, una terza area geografica di crisi ha fatto di recente la sua minacciosa apparizione sullo scenario internazionale, prospettando nuove, e ugualmente nefaste, conseguenze.
Si tratta del contenzioso fra India e Pakistan, ritornato drammaticamente alla luce dopo il recente massacro perpetrato da terroristi islamici nel Kashmir (un’area da sempre contesa fra i due Stati) nel quale sono morti una trentina di cittadini indiani. Il tragico episodio è stato immediatamente seguito da rappresaglie militari ordinate dal Governo di New Delhi per punire gli aggressori ed i loro mandanti, identificati, a torto o a ragione, nei servizi segreti pakistani. In una regione tormentata da svariati decenni da una endemica violenza, non si tratta, purtroppo, di un fatto inedito, ma il carattere di particolare crudeltà delle esecuzioni ha impressionato tutti gli “addetti ai lavori”.
Per chi non conosce le fortissime contrapposizioni di matrice soprattutto religiosa (spesso presentate come “scontro di civiltà” fra Induismo ed Islam) che caratterizzano quell’area geografica, può apparire sorprendente come un evento obiettivamente positivo quale la liberazione, avvenuta nell’immediato secondo dopo guerra, dall’impero coloniale britannico, abbia condotto i due Stati di nuova indipendenza a combattersi incessantemente sin dall’anno di rispettiva creazione, il 1947.
Venendo ai giorni nostri, una analisi anche superficiale dei due “contendenti” lascia intravvedere rapporti di forza tutt’altro che omogenei, a partire da una popolazione indiana di circa sei volte superiore a quella pakistana, con collegati riflessi nella consistenza dei rispettivi eserciti. Ad analogo squilibrio conduce anche la valutazione dei due sistemi economici, con Delhi collocata al quarto posto del Prodotto interno lordo mondiale e Islamabad incapace di attrarre investimenti stranieri diversi da quelli cinesi, dai quali è ormai largamente dipendente.
Va poi considerato come, con tutte le sue imperfezioni, il sistema politico indiano (negli ultimi anni sensibilmente avvicinatosi, anche grazie alla leadership di Modi, agli Stati Uniti) sia sostanzialmente democratico, garantendo, a titolo di esempio, la correttezza degli esercizi elettorali, ciò che si traduce con una certa regolarità in avvicendamenti nelle più alte cariche, sia centrali che regionali, del Paese (per approfondimenti si rimanda al numero 29 de «La Voce di Maria Dolens»). Nulla di tutto questo vale per il vicino, dominato da un regime in cui si assommano i peggiori connotati del militarismo e dell’islamismo radicale, dopo la breve stagione in cui sembrò delinearsi un allineamento agli Stati Uniti, motivato in un primo momento dall’obiettivo di contrastare l’occupazione sovietica nel confinante Afghanistan e in seguito dalla lotta al fondamentalismo talebano.
Il combinato disposto di tali differenze, che farebbe propendere l’ago della bilancia in una chiara direzione, appare però “compensato” dalla constatazione che entrambi gli Stati possiedono l’arma nucleare, con conseguenze potenzialmente devastanti ben oltre gli ambiti regionali di appartenenza. Non apparendo, fortunatamente, nessuna delle due Capitali in grado di avviare, sostenendone le conseguenze politiche, una tale “escalation”, vengono viceversa ritenute praticabili misure meno letali ma indubbiamente invasive, quali, ad esempio, la cosiddetta “guerra dell’acqua”, cui l’India potrebbe ricorrere attraverso la deviazione del corso dei fiumi essenziali per la sopravvivenza della popolazione pakistana.
In conclusione, non bastassero a collocare Stati Uniti e Cina su posizioni diametralmente opposte la grande incognita legata al futuro di Taiwan e la ondivaga vicenda dei dazi (un dossier dove, peraltro, si sono da ultimo registrati positivi passi in avanti nel raggiungimento di un’intesa), il contenzioso indo-pakistano potrebbe rappresentare un nuovo scenario di contrapposizione fra le due super potenze mondiali.
Anche in questo caso non siamo certo i soli ad auspicare un intervento in funzione mediatrice della comunità internazionale, evitando così che la ferita, invece di essere curata e sanata, si aggravi ulteriormente. Una speranza nasce dall’iniziativa del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha incaricato il segretario di Stato Rubio ad attivarsi in trattative. Questo appare, oggettivamente, un segnale nella giusta direzione, soprattutto se qualche influente Paese arabo (Oman, Arabia Saudita o altri) si renderà disponibile a unirsi agli sforzi negoziali.
Il Reggente, Marco Marsilli


