PER CHI SUONA LA CAMPANA - P19
«Ricordo di guerra essa è, ma segno di Pace». Era la tarda serata del 30 ottobre del 1965 quando Paolo VI pronunciava queste parole ricevendo in udienza i componenti della Reggenza e altre autorità del Trentino, accompagnati dall’arcivescovo di Trento, Alessandro Maria Gottardi. La Campana intanto riposava al centro di Piazza San Pietro dove rimase fino al giorno dopo, quando nell’Angelus domenicale dalla finestra del suo studio il Pontefice parlò ancora di Maria Dolens e di chi l’aveva fatta tornare a nuova vita. «La Campana dei morti è la Campana per i vivi.
Essa infatti ci invita a non dimenticare chi è morto a causa della guerra, e a pregare affinché la guerra abbia a cessare nel mondo, e la Pace possa regnare fra tutti i popoli». Ad ascoltarlo, tra la folla, cerano anche un migliaio di trentini arrivati per l’occasione, e migliaia di persone interessate alle ultime sessioni del Concilio Vaticano II. Papa Montini sottolineò soprattutto il nuovo significato che il simbolo della Pace avrebbe dovuto assumere in un momento storico dilaniato dalla guerra in Vietnam che di mese in mese subiva una pericolosa escalation. Non era più solamente la Campana dei caduti, ma un monito per tutto il mondo.
Con questa nuova missione il 3 novembre Maria Dolens tornò a Rovereto, accolta dalla folla in Piazza Rosmini. La scena si era già vista dopo le precedenti rifusioni, ma i toni enfatici questa volta lasciarono il posto a parole pacate, consapevoli anche delle tensioni che avevano attraversato la città dopo la decisione di spostare la Campana in una nuova sede. Il giorno successivo i trentini sfilarono davanti al bronzo che poggiato sulla pavimentazione della piazza veniva bagnato da una pioggia leggera. Il viaggio verso il Colle di Miravalle iniziò il 5 e durò 48 ore, non senza qualche difficoltà logistica, ma con il sostegno di almeno 15.000 persone.
La nuova sistemazione fu tecnica, sobria: due piloni in cemento armato, pensati più per la funzionalità che per l’estetica. Ma fu proprio quella “nudità strutturale” a esaltare la forma e il significato del simbolo della Pace. Per ascoltare di nuovo il suono di Maria Dolens bisognò attendere fino alla Pasqua del 1966, il 10 aprile. Il silenzio era durato sei anni. L’inaugurazione ufficiale invece arrivò il 28 maggio, data scelta per commemorare il 50° anniversario della morte di Damiano Chiesa, eroe trentino della grande guerra. Con lui, vennero ricordati anche Fabio Filzi e Cesare Battisti. Dopo le parole di Paolo VI lo spirito però era mutato, non si celebravano più solamente i martiri nazionali, ma la memoria condivisa di tutte le vittime dei conflitti. Anche per questo sul Colle salirono i rappresentanti di 24 nazioni, mentre le cerimonie religiose vennero tenute in chiave ecumenica, accostando rito cattolico, evangelico, ortodosso ed ebraico.
L’epoca delle rivendicazioni territoriali, delle contrapposizioni nazionali sembrava finita. L’Europa cominciava a cercare una lingua comune per la Pace. Cominciava a prendere forma l’auspicio di Primo Levi, che poco meno di vent’anni prima aveva invitato a coltivare la memoria per evitare che ciò che era accaduto si ripetesse. Intanto Kurt Vonnegut, che come prigioniero statunitense subì il bombardamento alleato di Dresda, stava scrivendo Mattatoio n. 5 nel quale sentenziava che «non esistono guerre buone, ma solo bugie ben raccontate».
I grandi ideali prendevano piede, anche se non si placavano le contrapposizioni locali. Mentre la polemica sulla nuova sistemazione della Campana continuava a tenere banco nell’opinione pubblica cittadina, coinvolgendo anche organi istituzionali, il 18 gennaio 1968 un decreto del presidente della Repubblica conferì personalità giuridica alla Fondazione. Era il coronamento del lavoro di don Rossaro prima e di padre Iori poi. Un passo decisivo per il futuro di Maria Dolens, che portò però anche a un’ immediata reazione del gruppo contrario all’allontanamento della Campana dal bastione del castello. Fu in quel momento che la campagna di denuncia dell’operato della Reggenza fu rilanciata con forza. Nel tentativo di ricomporre la frattura. il 16 maggio 1966 padre Iori inviò una lettera alla direzione del Museo storico e al presidente del «Comitato Riconoscenza a don Rossaro» in cui chiedeva perdono a chi si era sentito offeso. Ma non basta, avanzò anche due proposte concrete per «una collaborazione proficua»: «La vendita di un comune biglietto d’ingresso, diviso a metà nel suo reddito fra i due enti», e la presenza di un rappresentante del Museo e del Comitato nella Reggenza dell’Opera Campana. Nessuna delle due fu accolta. Il Museo attese fino al 1970 e poi avviò una causa civile contro la Reggenza, ne scaturì un lunghissimo procedimento che si concluse nel 1983 presso la Corte di Cassazione di Roma con una sentenza definitiva favorevole alla Fondazione.
La Campana però non poteva rimanere ferma per 13 anni ad attendere l’esito del processo e non lo fece, anzi intensificò l’attività nella direzione indicata da Papa Montini. Il 14 settembre 1975, in occasione dell’Anno Santo, sul Colle di Miravalle si svolse un rito ecumenico per ricordare le vittime di tutte le guerre e per richiamare i potenti al dovere di mantenere la Pace. A quella «Giornata internazionale di ricordo per tutti i Caduti» parteciparono gli ambasciatori di oltre quaranta nazioni, i rappresentanti di più di venti confessioni religiose e una folla enorme. Era nato il Piazzale delle Genti, un luogo reale pensato per dare una casa a un’umanità alla ricerca di momenti di dialogo.
Come sempre padre Iori considerò quel successo come un nuovo punto di partenza. Ma questa volta le cose andarono diversamente. Quando arrivò la notizia a Rovereto fu uno shock per tutti. Il Reggente, in missione a Roma per conto di Maria Dolens, si era spento improvvisamente nella notte. Era il 12 agosto 1979. La sua era stata una vita piena, quella di un uomo d’azione. Al momento del suo insediamento aveva espresso l’intenzione di dare alla Reggenza una stabilità giuridica e alla Campana un significato universale. Fatto. È questo il lascito di un visionario che per 26 anni ha lavorato per la Pace, fino all’ultimo giorno.

